[video] A Padova gli operai salgono in cattedra. Sull'incontro con i lavoratori Electrolux

Giovedì 28 Novembre alcuni lavoratori dell’Electrolux di Susegana (Treviso) – stabilimento con oltre 1200 operai che lavorano per questa multinazionale svedese di produzione di elettrodomestici – sono tornati a parlare dentro la Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Padova. Con i lavoratori ci siamo confrontati sulle prospettive della lotta che hanno intrapreso nelle scorse settimane, delle forme di mobilitazione presenti e future, e dei limiti con cui si devono confrontare. Abbiamo anche discusso delle strategie attraverso cui l'azienda prova a dividere i lavoratori dei diversi stabilimenti e soprattutto dei diversi paesi in cui dispone di impianti.

Proviamo a sintetizzare qui alcune delle cose che ci hanno detto, perché ci pare che possano tornare utili a tanti lavoratori nelle stesse condizioni, e possano aiutare a far crescere una coscienza di classe, visto che si tratta di esperienza diretta fatta dagli stessi operai.

Innanzitutto, è importante precisare che, come spesso accade, l'attacco della multinazionale è rivolto a tutti e quattro gli stabilimenti italiani, sebbene il tentativo sia quello prospettare esiti differenziati stabilimento per stabilimento, così da dividere e indebolire la risposta degli operai. Le cosiddette “investigazioni” che alcune settimane fa la direzione svedese aveva annunciato per gli stabilimenti italiani sono ben conosciute dai lavoratori, anche sulla scorta delle esperienze passate: valutazione dei costi e degli utili complessivi di ogni stabilimento e loro comparazione. Ma significano essenzialmente piani di esuberi e chiusure. I piani d'esuberi dopo un confronto internazionale sulla profittabilità sono portati avanti da diversi anni, talvolta con numeri inventati, che negli anni scorsi però sono stati accettati grazie ad accordi sindacali siglati nella speranza (vana) di garantirsi qualche anno di tranquillità. Le delocalizzazioni e le chiusure degli stabilimenti in Spagna e Francia degli anni scorsi, così come quello di Scandicci (Firenze), avevano segnato per gli stabilimenti italiani rimasti aperti anche una crescita dei volumi. Quel corporativismo nazional-leghista con il quale le investigazioni erano state interpretate ora mostra la corda e diventa evidente la scarsa lungimiranza delle direzioni sindacali. Proprio l'esperienza dello stabilimento di Scandicci, che i lavoratori ben ricordano, e sulla quale abbiamo letto un contributo inviatoci da un ex-lavoratore (che alleghiamo in fondo all’articolo) evidenzia la continua contrapposizione tra lavoratori e lavoratori che l’azienda porta avanti.

Anche per questo durante tutto l’incontro è emersa la necessità di segnare uno scarto rispetto alla gestione delle vertenze che ha segnato la politica sindacale degli ultimi anni, che ha reso passivi i lavoratori e quella di rilanciare a una lotta unitaria di tutti i lavoratori del gruppo, a partire da quelli di tutti gli stabilimenti in Italia che sono ora sotto pressione. D’altra parte nei quattro stabilimenti in Italia gli ultimi due giorni sono stati di mobilitazione, anche se in forme ancora sconnesse, perché qualche centrale sindacale pensa ancora di poter concertare un’agonia un po’ più lunga…

- A Forlì il 28 novembre è stata decisa una sola ora di sciopero, ma a singhiozzo, ovvero spezzata in 4 fermate da 15 minuti durante il turno. Una modalità di sciopero che anche a Susegana hanno attuato nei giorni scorsi con particolare soddisfazione tra gli operai: poco salario perso, molto caos in fabbrica e lunghe pause. D’altra parte, come ha detto un operaio in fabbrica i tempi della linea di assemblaggio sono velocissimi, 45 secondi per operazioni. E, proprio per questo, circa un terzo degli operai, sono usurati e classificati come lavoratori a capacità ridotte.
- Venerdì 29 novembre i lavoratori di Susegana con otto ore di sciopero si sono diretti a Venezia per mettere pressione sul Consiglio Regionale straordinario dove discutevano della situazione di varie aziende Venete in crisi del comparto del bianco, con i rappresentanti istituzionali a cui sono state presentate le 50.000 firme raccolte per una legge contro le delocalizzazioni.
- I lavoratori di Solaro in provincia di Milano invece sono stati ricevuti dal console svedese, dopo una manifestazione nel centro di Milano.
- A Porcia in provincia di Pordenone nel giorno della mobilitazione Europea dei lavoratori del gruppo (decisa dal CAE, Comitato aziendale europeo) sono state fatte 4 ore di sciopero per ogni turno e due manifestazioni che partendo dallo stabilimento hanno attraversato Porcia.

Si tratta per il momento di quattro realtà produttive, per circa 6000 operai, che rimangono largamente scollegate tra loro per l’incapacità (quando non direttamente l’avversione) sindacale.
Ma la ripresa di un dialogo tra operai, studenti, attuali e futuri lavoratori in un dibattito pubblico, può forse riaprire una discussione non solo sulle modalità di lotta, ma anche sulle connessioni possibili per farla avanzare. Certo, come anche questo incontro ha dimostrato, la strada è complicata e tortuosa, non ce lo dobbiamo nascondere. Ma è proprio uscendo dal ristretto perimetro delle aziende e delle facoltà, unendo le nostre forze, che possiamo strappare una vittoria.

Ascolta l'audio dell'iniziativa
Video di una televisione locale, con un’intervista a Federico, del Clash City Workers di Padova

Di seguito il contributo di un lavoratore Electrolux di Scandicci

Parlare  di una chiusura di una fabbrica o di qualunque luogo di lavoro può suscitare frustrazione in chi parla, compassione in chi ascolta, spesso però la reazione non provoca un momento di rabbia, di lotta, di solidarietà  di classe. Anche questo è successo a Scandicci.
Quello che è successo a Scandicci nel sito produttivo dell’Electrolux racconta di una chiusura che, data la totale sottomissione sindacale, è avvenuta nella più totale mancanza di conflitto, complice anche una supposta, ma mai avverata, reindustrializzazione del sito.

A Scandicci l’azienda ha chiesto e ottenuto sempre tutto da un punto di vista sindacale con il ricatto che lo stabilimento era il “ramo secco” a rischio, quindi, di chiusura imminente. Questo persuadeva i lavoratori ad accettare condizioni sempre peggiori con la speranza di poter mantenere un posto di lavoro, ma come i fatti hanno confermato, questa non poteva, e non doveva, essere la soluzione. Sono un’inguaribile pessimista ma ho la sensazione che i lavoratori non abbiano tratto da questa vicenda le conclusioni che quello che è avvenuto poteva essere evitato e probabilmente questo è il dato peggiore di tutta la vicenda, anche del fatto stesso della perdita del posto di lavoro.

Electrolux ha chiuso molti stabilimenti a cominciare da quello in Svezia, Germania, Inghilterra, Spagna, ora in Italia. Sembra che ci sia sempre uno stabilimento da chiudere e qualcuno da aprire. Operai da licenziare da una parte e altri operai da sfruttare dall'altra, perché questo è il capitalismo, o lo accetti o lo combatti. In Polonia un lavoratore guadagna 600€, perché sorprendersi se i capitalisti scelgono di andare a produrre là? Non c’è da sorprendersi nemmeno che i lavoratori polacchi - o magari serbi - siano contenti del fatto che questa “migrazione produttiva” permetta a loro di lavorare, ci mancherebbe. Però sono convinto che non debba mancare la convinzione che la condizione di lavoro salariato, e a maggior ragione, la condizione di disoccupazione debba essere rispedita al mittente, a quel mittente che ordina la vita di miliardi di persone per il profitto di pochi.

Questo, credo che i lavoratori arrivino a capirlo soprattutto nei momenti di difficoltà, nei momenti in cui sembra non esserci più la speranza di un lavoro. E’ in questi momenti che dobbiamo riscoprire la storia da cui veniamo e capire perché tutto questo è successo. A questo punto mi trasformo in inguaribile ottimista perché quello che sta accadendo in questi frangenti può aiutarci a capire quale strada siamo obbligati a percorrere. La lotta, quella lotta che i lavoratori della logistica, ma non solo - basti pensare agli autoferrotranvieri genovesi - hanno intrapreso non è e non può essere solo la lotta di chi movimenta le merci, ma è come sempre, la lotta di tutti gli sfruttati della terra, non è difficile capirlo.

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