Non credeteci: il Jobs Act non è stato davvero approvato!

Curiosa l’informazione italiana: per tutta la giornata di ieri ha snobbato completamente la riforma del lavoro, la discussione al Senato e l’approvazione del Jobs Act. Forse perché avrebbe dovuto parlare delle cariche di Roma ai danni di chi, circondando il Senato, voleva impedirne l’approvazione…

O avrebbe dovuto riferire dei tanti presidi che hanno avuto luogo in tutta Italia, e che a Napoli hanno persino portato all’occupazione dell’Università!

Poi, improvvisamente, titoloni nei tg e sui principali quotidiani: certo, attraverso l’ennesima “fiducia” il Governo blindava l’approvazione del provvedimento, e portava a casa la sua approvazione. Ora si poteva finalmente dire agli italiani: “vedete, il Governo Renzi fa per davvero le cose, è inutile che vi opponete, ormai è andata!”. Ma è davvero così? Davvero non serve a nulla lo sciopero generale del 12 dicembre? Davvero ormai ci dobbiamo rassegnare al nuovo regime di sfruttamento, a non avere articolo 18, cassa integrazione, avendo in cambio ancora più precarietà e salari più bassi? Per nulla! E ora proviamo a spiegarvi perché…

Come al solito, partiamo dai dati di fatto, per evitare di sostituire alla realtà e alla sua complessità quel piccolo pezzo di realtà che vediamo, le nostre paure e i nostri desideri. Iniziamo quindi con un elemento tecnico, che tanto tecnico non è.
 
La riforma del lavoro che è stata approvata sia alla Camera che al Senato al momento non è altro che una legge delega. Una legge delega è un particolare tipo di legge previsto dal nostro ordinamento costituzionale: riguarda quei casi in cui la produzione della norma giuridica non avviene attraverso il meccanismo delle leggi ordinarie, che mette al centro l’attività del Parlamento, ma attraverso un meccanismo di delega, per il quale il Governo viene incaricato dal Parlamento di redigere ed emettere la norma. Negli ultimi anni questo strumento è sempre più abusato – proprio come la fiducia e i decreti legge – in nome della “governabilità” e della rapidità delle decisioni. L’articolo 76 della Costituzione ricorda però che “L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”.

In altri termini, siccome il meccanismo della delega è qualcosa di intrinsecamente autoritario, perché limita il dibattito nel Parlamento, accentra nell’esecutivo – dunque in una ristretta parte politica – il compito di legiferare, la Costituzione immaginava l’uso della delega irreggimentato da una serie di vincoli: il mandato e le linee guida devono essere indicati chiaramente, così come i limiti temporali e i termini di applicazione della legge, di modo che i successivi interventi del Governo, una volta ricevuta la delega, si configurino in maniera quasi “tecnica”.

Ora, basta dare un rapido sguardo al testo del Jobs Act per constatare che in questo caso la legge delega è quanto mai vaga, e i dettagli non esplicitati non siano affatto elementi tecnici, ma politici. Il Jobs Act si configura cioè come una delega in bianco che il Governo Renzi chiede, peraltro blindando la richiesta con la fiducia, al Parlamento: dunque come una possibile violazione dell’ordinamento costituzionale. Tanto che molti soggetti politici, sindacali e istituzionali stanno pensando di fare ricorso ai sensi dell’articolo 76.

Ovviamente questa possibilità di adire vie legali ci interessa fino a un certo punto. Quello che qui è importante sottolineare è lo spazio di intervento che questa situazione ci lascia. Il fatto che il Jobs Act si trovi ad essere ancora tutto da scrivere, ci dice che, anche una volta che è stata approvata la legge delega, la partita non è affatto chiusa, anzi! Soprattutto in questo caso, in cui il testo della delega resta volutamente vago nel merito di questioni importanti, il Governo dovrà faticare non poco per tirare fuori dal Jobs Act un vero e proprio apparato normativo. Dovrà, infatti, presentare nei prossimi mesi gli schemi dei vari decreti, sottoporli al parere delle Commissioni etc…

Lo ripetiamo: questa puntualizzazione apparentemente tecnica ci serve per capire che l’approvazione del Jobs Act non segna affatto la fine della battaglia, ma l’inizio di una battaglia di lungo periodo e quanto mai articolata. Tanto che alcuni analisti borghesi pensano che il Governo si arenerà proprio su questo punto e si dovrà andare così ad elezioni anticipate.

Quale riflessione, quale profilo psicologico ci consegna questo dato di fatto? Che mai come questa volta dobbiamo uscire dall’idea che la mobilitazione sia un fatto puramente autunnale. Con l’approvazione del Jobs Act si apre una stagione di lotta più lunga, modulata sul contrasto a ogni singolo decreto, e la vincerà chi avrà più tenacia. D’altra parte, mettiamoci nei panni di chi si vedrà cancellata da un giorno all’altro quella cassa integrazione che gli permette di tirare avanti e di restare collegato al posto di lavoro… Siamo così sicuri che una volta che il Governo toccherà la carne viva, la sopravvivenza delle famiglie, nulla si muoverà?

A breve torneremo su questi argomenti in maniera più dettagliata. Per il momento è importante che tutti sappiano che la lotta non è finita, che il nostro compito continua a essere quello di creare la più vasta mobilitazione sociale. Una mobilitazione capillare, consapevole, che utilizzi le forme organizzative esistenti per scavalcarle, per crearne di nuove. Di fronte a una mobilitazione del genere, di fronte alla minaccia di un nuovo protagonismo dal basso, lo stesso Governo sarà costretto a limitare la sua azione o tornare indietro. E d’altronde basta vedere l’insicurezza che trama da parte a parte Renzi, nervoso, continuamente teso a ripetersi, a dire che ce la fa, che le cose le farà, per capire che non è così, che qui si tratta semmai di convincere se stessi, e i propri “azionisti”.

Niente paura, insomma: oggi strillano la loro vittoria, domani piangeranno la loro sconfitta. A patto che riusciamo a organizzarci, serrare le file, e avanzare uniti e inflessibili. 

Renzi   Jobs Act  

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