Se toccano uno, toccano tutti! Riflessioni sul I congresso del Si Cobas

Le lotte nel settore della logistica hanno ormai assunto una portata ed un significato nazionale. Questo non solo in virtù dell’estensione territoriale, che esclude ancora il sud Italia, ma che comunque copre gran parte del territorio dello Stato, ma soprattutto perché hanno ormai raggiunto una visibilità ed una risonanza davanti alla classe capitalista e al resto della classe lavoratrice tale da superare il carattere di fenomeno locale o circoscritto e da spezzare l’isolamento a cui la repressone padronale e di Stato avrebbe voluto condannarle.

Tre esempi lo stanno a testimoniare: innanzitutto l’accordo nazionale recentemente firmato dai maggiori corrieri a livello nazionale, un episodio unico nella storia del sindacalismo di base italiano e che rappresenta la migliore risposta possibile al tentativo di confederali e padroni di porre una fine alle lotte con il famigerato accordo dell’anno scorso - lotte che hanno così finito implicitamente per riconoscere nelle loro principali rivendicazioni; in secondo luogo la relazione dei servizi segreti al parlamento, in cui si fa esplicito riferimento al preoccupante “fermento delle maestranze della logistica”; l’attenzione ed il sostegno che queste lotte ricevono dai compagni di tutta Italia, come si è manifestato ad esempio nelle campagne Granarolo ed Ikea, o come si può verificare quotidianamente nelle tante città d’Italia in cui ci sono militanti pronti a sostenere attivamente le lotte.

Per queste ragioni, il I congresso del Si COBAS - il principale sindacato che ha promosso e organizzato queste lotte – che si è appena svolto a Bologna l'1, 2 e 3 Maggio ha avuto una rilevanza ed un significato per tutti quelli che si battono per i diritti dei lavoratori. Per questo noi e tanti altri compagni e compagne abbiamo accolto l'invito del sindacato ad un confronto politico nella giornata di Domenica. Un confronto che già di per sé rappresenta un segnale incoraggiante, un riconoscimento dell'insufficienza di un piano esclusivamente sindacale e un passo verso un percorso politico più ampio e comune.
Per questo riflettere e confrontarsi insieme su come rendere queste lotte patrimonio comune di tutta la classe, su come sfruttare il loro potenziale, così come esse hanno potuto sfruttare il patrimonio militante ancora rimasto in questo Paese, assume un'importanza non solo nell’ottica del rafforzamento delle lotte dei lavoratori tutti, ma anche delle lotte della logistica stesse, che proprio da una solidarietà sempre più allargata hanno tratto la loro forza principale.

Ovviamente questo significa porsi preliminarmente la questione se tutto questo sia effettivamente possibile o meno.
Alcuni elementi sembrano in effetti troppo peculiari. L’ipersfruttamento del settore, tanto per quanto riguarda gli estenuanti carichi di lavoro quanto per i magrissimi salari, nonché per il sistematico ricorso alla truffa e alla violenza, rappresentano sicuramente una situazione estrema (per quanto non unica). Così com’è caratterizzante la composizione dei lavoratori, per lo più stranieri, in cui i legami comunitari ed i relativi canali comunicativi hanno permesso il diffondersi delle notizie sulle lotte e facilitato il coinvolgimento e la costruzione di legami di fiducia.
Oltre quello che riguarda la forza lavoro, pesano poi delle questioni più strutturali: se così tanto ha pesato negli ultimi anni la minaccia della delocalizzazione per costringere ad accettare il peggioramento delle condizioni di lavoro in numerose aziende, questo fenomeno chiaramente non ha potuto riguardare la logistica. Anzi, essa, come tutte le infrastrutture di trasporto, è proprio lo strumento su cui si regge questa possibilità e quindi, chiaramente, si è rivelato un punto fragile per il capitale. Scongiurata (con le dovute eccezioni) questa minaccia, il potere strutturale dei lavoratori ne risulta ben aumentato. Così come dalla possibilità di bloccare i flussi di merci facendo opposizione fisica.

A posteriori questi fattori risultano effettivamente determinanti per le vittorie a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Eppure si sarebbe potuto dire l’opposto non conoscendone gli esiti, come d’altronde spesso si è fatto. Quante volte abbiamo sentito dire che il doppio ricatto che la perdita del posto di lavoro e del permesso di soggiorno grava sulla forza-lavoro immigrata significava una loro totale disponibilità ai capricci del padrone? Quante volte abbiamo visto i padroni approfittare delle divisioni etniche e linguistiche per impedire il diffondersi della solidarietà e alimentare la guerra tra lavoratori? Quante volte la violenza mafiosa è riuscita ad impedire che si potessero rivendicare i propri diritti? Un punto di debolezza si rivela essere un punto di forza solo quando lo si riesce a sfruttare. Ora che le lotte della logistica ce lo hanno mostrato, sappiamo che questa magia può avvenire in altri settori (o magari attorno ad altre divisioni in grado di ribaltarsi in elementi di ricomposizione). Sappiamo anche che non abbiamo più alibi e sarà nostro dovere fare in modo che questo avvenga.
La questione della delocalizzazione rimane in un qualche modo vera e sicuramente non depone a favore dell’idea che quanto è avvenuto davanti ai magazzini della logistica possa essere immediatamente riprodotto altrove. Ma la questione non è quella di riprodurre e moltiplicare delle forme in un qualche modo vincenti ed aspettarsi che queste si estendano in maniera più o meno semi-automatica. La questione è quella di cosa queste lotte mettano concretamente in campo perché possano esserci avanzamenti nelle lotte di tutti i lavoratori. E il potere di interrompere i flussi di merci grazie all’intervento in questo settore può rappresentare una risorsa per lotte in settori diversi ma integrati nella stessa filiera. Un forma di solidarietà sicuramente difficile da praticare, innanzitutto dal punto di vista legale e poi perché comporta un’accurata conoscenza della filiera stessa, delle aziende e dei prodotti in essa integrati, ma comunque possibile e sopratutto dalle potenzialità enormi.
Quello che poi queste lotte ci hanno in generale insegnato - o meglio, ci hanno costretto a riscoprire - è qualcosa che riguarda sì ogni settore: l’importanza di individuare i nervi giusti del ciclo produttivo da colpire. E questo può essere fatto dovunque. E comunque chi vi parla ha assistito al blocco delle merci portato avanti dagli operai dell’Electrolux proprio per scongiurare la delocalizzazione… una ‘dogana operaia’ vista e rivista davanti ai magazzini della logistica!

Rimane la domanda: le lotte della logistica sono espressione di una situazione eccezionale ed in un qualche modo unica, sintomo di un fenomeno particolarmente morboso del capitalismo, e quindi destinate a rimanere circoscritte o esaurirsi una volta che questi caratteri particolarmente truci siano stati smussati e uno sfruttamento più ‘normale’ ristabilito? Oppure sono in grado di indicare elementi comuni a molte situazioni di sfruttamento ed il modo in cui si può combattere contro di esso? Possono rappresentare quindi almeno in parte e per certi aspetti un’avanguardia di lotta?
Su questo sono le stesse condizioni oggettive a fornire una parziale risposta. Tanto nel documento congressuale del Si Cobas che ha aperto questo congresso, quanto in quello dell’ADL che ha aperto il loro, si è sottolineata la portata epocale del Jobs Act. Come questo provvedimento cancelli in un colpo diritti conquistati con decenni di lotte. Condividiamo quest’analisi e la prima cosa da rilevare, ed abbondantemente rilevata, è che la direzione verso cui stiamo andando nel nome ideologico della fine della precarietà è ad un dilagare della stessa, ad un estendersi ed approfondirsi della ricattabilità di tutti i lavoratori. Una situazione abbondantemente conosciuta nel settore della logistica, le cui lotte ci hanno insegnato anche come può essere affrontata. Non è un caso che la Cgil che rappresenta spesso e volentieri un ostacolo - per usare un eufemismo! - di queste stesse lotte, individui degli strumenti che chi vi ha partecipato conosce bene. Penso ad esempio alla recente indicazione di puntare alle responsabilità del committente che si nasconde dietro la catena di appalti e subappalti: una questione che diventa vitale in questo momento in cui lavoratori licenziati e riassunti nel cambio dell’appalto rischiano di venire inquadrati con il nuovo contratto a tempo indeterminato, perdendo le vecchie tutele. Da tempo le lotte nella logistica ci hanno insegnato a puntare alla responsabilità del committente e ad evidenziare la continuità nel rapporto di lavoro nonostante cambi l’intermediario. Di fronte all’emergenza anche ai confederali tocca scoprirlo, insieme al mondo di lavoro nero e criminalità organizzata che ora vorrebbero combattere con la loro battaglia per la legalità. O penso a casse di resistenza per i licenziati politici, verosimilmente destinati ad aumentare con la mano libera che si sono conquistati i padroni, e anch’essa evocata in qualche occasione: uno strumento di lotta ampiamente utilizzato nel caso della logistica, in grado anche di creare piccoli reti di licenziati pronti a mobilitarsi laddove ci sia bisogno.

In questo senso ci sembra inevitabile e giusta, nonché estremamente positiva, la presenza del Si Cobas alle manifestazioni del 14 Novembre e del 12 Dicembre, a testimonianza viva e determinata della possibilità della lotta e riscatto nelle condizioni di ricatto che si aprono. E uniti nell’esprimere che un attacco di classe esige una risposta di classe, al di là degli steccati sindacali costruiti artificialmente da padroni e lacchè.
Una prima indicazione concreta su che farci di quanto maturato in questi anni di lotte: utilizzarle anche per radicalizzare le istanze già presenti nella nostra classe, costringendo le dirigenze sindacali a prendere posizione, inchiodandole alle proprie responsabilità. Vogliono combattere la criminalità che si nasconde nelle catene di subappalti? Sostenessero le lotte dei facchini della logistica! Protestano contro le infami manganellate prese dagli operai? Lo facciano anche per quelle che ci prendiamo noi!
Significa anche che in seconda battuta nostro compito è fare in modo che queste lotte risuonino e riverberino sempre più nel corpo della nostra classe. Sia nel senso che se ne conoscano le istanze, i risultati, le vittorie, abbattendo la coltre di silenzio da cui sono coperte; sia nel senso che sempre più proletari possano essere effettivamente coinvolti, nella forma di una solidarietà data o ricevuta.

Infine, per concludere queste breve indicazioni pratiche con un ultimo ulteriore impegno che, insieme agli altri, proveremo a portare avanti, ci sembra molto buono il richiamo a quelle esperienze territoriali che in qualche modo ritornano agli albori e alle radici del movimento operaio, con il loro carico di solidarietà e mutualismo capace di superare le divisioni categoriali e la frammentazione a cui la divisione del lavoro (e del non lavoro!) consegna le diverse figure del proletariato. Ci riferiamo al sorgere di sempre più numerosi coordinamenti tra lavoratori e lavoratrici trasversalmente a sindacati ed aziende, che possono rappresentare nel futuro uno straordinario strumento di solidarietà e conflitto. A volte si tratta di realtà strutturate, a volte di tentativi o esperimenti. Proprio il Primo Maggio, a Napoli, presso l’ex-OPG occupato, una delle più grandi occupazioni d’Italia, è nato uno spazio che abbiamo avuto l’ardire di definire come una vera e propria camera del lavoro!
Come le altre esperienze che abbiamo rincontrato nel nostro giro per l’Italia sul Jobs Act, l’intenzione è di tradurre in pratica lo spirito ben sintetizzato da uno slogan che tante volte si è sentito davanti ai magazzini e che è anche quello che ormai dilaga tra i tanti coordinamenti che stanno nascendo: “se toccano uno, toccano tutti!”.

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