La campagna popolare non si ferma: il 27 novembre tutti a Roma!

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Non fidiamoci dei sondaggi. Due parole sul metodo Renzi

Siamo entrati ormai nella fase decisiva della battaglia referendaria: a poco più di due settimane dal voto i sondaggi segnalano un vantaggio netto del NO sul SI, ma non c’è da fidarsi. Senza guardare a quanto accaduto all’estero, alla Gran Bretagna della Brexit o agli USA di Trump, basta volgere lo sguardo a tre anni e mezzo fa – all’ultima volta, cioè, in cui gli italiani hanno avuto la possibilità di esprimere un Presidente del Consiglio. Bastò allora una boutade di Berlusconi sul rimborso dell’IMU sulla prima casa per tentare la scalata a Bersani, che fino a 10 giorni prima poteva contare su 6-7 punti di vantaggio sull’avversario più temuto.

Renzi non è da meno del Biscione, anche perché, essendo presidente del Consiglio, è in grado di piegare niente meno che la leva finanziaria dello Stato a fini elettorali, come d’altronde ha già fatto in passato (basti pensare agli 80 euro, ai bonus per mamme e diciottenni, o alla – falsa – “rottamazione” di Equitalia).
Il premier sa benissimo che su questo referendum si gioca buona parte della sua credibilità: è scandaloso quanto emerso in Campania, dove il governatore De Luca ha mobilitato 300 sindaci a racimolare preferenze presso imprenditori, studi professionali e “ras” della sanità pubblica, dispensando favori e promesse di finanziamenti in cambio di SI. Questo è quello che si muove dietro le promesse di Renzi di “decontribuzione totale per tutte le imprese del Sud Italia”: il vecchio clientelismo di matrice democristiana in versione 2.0, potenziato cioè da un controllo quasi totale della televisione pubblica da parte del “Capo”, e dall’appoggio acritico delle più importanti testate giornalistiche del paese.

I mille volti del nostro NO

È importante dunque non rilassarsi proprio ora, non abbassare la guardia, ma tentare con ogni mezzo di far uscire le vere ragioni del NO. Che non sono né quelle dei Salvini, né tantomeno quelle dei Grillo, quelle di chi vuole semplicemente sostituirsi a Renzi, ma sono le nostre, quelle cioè di chi istintivamente coglie dietro la formula della “rappresentatività” del nuovo sistema il puzzo dell’autoritarismo delle classi dominanti.
Non è solo per difendere la Costituzione che bisogna votare e far votare NO, né solo per far cadere il Governo Renzi. Occorre votare NO per delegittimare in maniera limpida la prassi politica scatenatasi con la crisi ed incarnata da provvedimenti come la legge Fornero, il Jobs Act, il Piano Casa, lo Sblocca Italia. Prassi che, con il combinato di riforma costituzionale e Italicum, potrebbe basarsi sul consenso di una infima minoranza dell’elettorato, in barba alla sofferenza e alla sfiducia della maggioranza degli italiani. Non ci vuole la sfera magica per capire che un concentramento di potere nelle mani dei fedelissimi del governo servirà ad imporre con estrema velocità misure di carattere antipopolare. Per questo occorre rafforzare il Governo: perché è e sarà sempre più privo del consenso dei “nostri”, ed occorre dunque dotarlo degli strumenti per governare anche in situazioni di aperto dissenso(basti pensare a quanto avvenuto in Francia solo qualche mese fa). Un dissenso che deve rimanere incapace di esprimersi politicamente e risultare quindi “governabile”. A questo serve la stabilità tanto invocata da questa riforma: a permettere a Renzi di fare altri Jobs Act nel silenzio generale, così che “spallate” come quella rivendicata dal ministro Poletti per la riforma del lavoro diventino il normale iter legislativo. Per questo durante la campagna referendaria abbiamo cercato di leggere oltre le visioni tecniciste dei giuristi: non sarà la legge costituzionale a provocare la catastrofe, ma è la catastrofe che stiamo vivendo oggi che si farà legge costituzionale.  

Non è d’altronde un caso che la campagna per il NO stia registrando interessanti novità. Dietro i classici tentativi di copertura dello spazio mediatico e di adunate à la Salvini (alquanto deboli a dire il vero), c’è tutto un tessuto popolare che si muove autonomamente sui territori, e che ha prodotto una marea di banchetti fuori dai mercati, di comitati sindacali o intersindacali, di speakeraggi in giro per i quartieri, di iniziative di informazione nelle facoltà universitarie.
E’ a sostegno di queste iniziative che ci siamo mossi in questo ultimo mese, promuovendo, organizzando, sostenendo o anche semplicemente pubblicizzando tutte le iniziative che i lavoratori hanno messo in campo. Lavoratori che si sono coordinati spesso anche oltre le appartenenze sindacali, con l’unico intento di chiarire il significato di classe che sta dietro a questa riforma e contrastare la grancassa di padroni e governo che vogliono far apparire la riforma come un semplice risparmio per le tasche di tutti. Un protagonismo dei lavoratori che ci ha confermato la coscienza diffusa dell’attacco che abbiamo subito da parte del governo Renzi, in particolar modo col Jobs Act, e la necessità che abbiamo di costruire metodi organizzativi che ci permettano di essere davvero efficaci nelle nostre lotte, di essere capillari nella presenza e chiari nei messaggi che veicoliamo. Per questo abbiamo organizzato speakeraggi nelle nostre città con auto e furgoncini, volantinaggi ai cancelli delle aziende, iniziative ed assemblee con lavoratori di diverse aziende nei nostri spazi.

Siamo noi, i nostri, coloro cioè che hanno colto l’essenza storica di questa riforma, la vera novità della campagna elettorale, che stenta però a bucare la coltre mediatica tessuta dal Governo e dai suoi sostenitori, e quindi non è in grado di porre al centro del dibattito pubblico le ragioni del NO. Da qui l’importanza di scendere in piazza, di renderci visibili, e di farlo non solo nelle nostre città, ma a Roma il 27 novembre, per dare un segnale agli indecisi, e per dare forza ai milioni di italiani che si sono spontaneamente orientati verso il NO alle banche, a Confindustria, alle istituzioni finanziarie (in una parola, alle classi dominanti), per trasformare il loro voto in un voto attivo.

Il 27 tutti a Roma!

Il 27 novembre dunque sarà un momento centrale della campagna per il NO. Ma non solo: il 27 dovrà rappresentare quel movimento popolare emerso con la campagna,  che più o meno consapevolmente sta ponendo al centro dell’agenda politica  i temi che nessuna forza politica ha intenzione di toccare. Parliamo del tema del lavoro, del diritto alla casa, della qualità dei servizi pubblici, del rifiuto dell’austerità. È importante dunque bucare lo schermo per non perdersi di vista, regalando così una eventuale vittoria del NO agli opportunismi della destra – a chi cioè non ha mai fatto e non farà mai i nostri interessi immediati! È importante riuscire a rappresentare chi si sta muovendo nel silenzio assordante delle telecamere, una forza sociale viva, che costituirà nel dopo-referendum il sassolino nella scarpa delle classi dominanti, ora schierate a difesa di Renzi, un domani pronte ad assieparsi dietro chiunque (anche lo stesso Premier in forme nuove) sia in grado di garantirgli le stesse politiche fatte di sacrifici (per noi) e di profitti (per loro).

Mostriamo i mille volti del NO, mostriamo che esistiamo e che ci prendiamo, passo dopo passo, il nostro spazio, per ricominciare a decidere e a far pesare le nostre posizioni ed idee. Chiamiamo a raccolta tutte le forze, collettive ed individuali che hanno costruito le campagne sui territori e che attraversano le numerose lotte che vi si sviluppano: il 27 scendiamo in piazza, costruiamo uno spezzone largo e determinato, che vuole rompere il muro di silenzio, dare voce ai senza voce, costruire il potere popolare!

Rete Camere Popolari del Lavoro