Rinnovo CCNL metalmeccanici: un'analisi dell'accordo

Dopo un anno e mezzo di trattative, Federmeccanica ed i confederali, FIOM-FIM-UILM, hanno trovato l’accordo per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici.

Un’intesa che, dopo 8 anni e 2 rinnovi, conclude la stagione degli accordi separati, certificando il rientro nei ranghi della FIOM. Peccato che l’unitarietà dell’accordo vada a discapito dei lavoratori, con Landini che si è appiattito sulle posizioni di FIM e UILM che negli scorsi anni aveva tanto criticato.

SALARIO. Sindacati e imprese hanno spacciato un aumento di 92 euro, ma questa cifra è in realtà drogata. Di questi solo 52 sono reali aumenti, mentre il resto viene erogato sotto forma di welfare: una manovra che ha l'intento di pagare meno i lavoratori e che fa felici anche i sindacati che sul welfare hanno il loro tornaconto. Gli aumenti salaria, dunque, sono unicamente costituiti dal recupero dell’inflazione che è stimabile in 51 euro lordi medi nei prossimi tre anni. Diciamo stimabile perché saranno legati all’inflazione reale (indice IPCA) e non più a quella prevista dall’ISTAT, permettendo alle aziende di erogare gli aumenti ex-post a giugno in base al calcolo dell’inflazione reale dell’anno precedente: una sorta di scala mobile al contrario!
In questo modo i padroni posticipano l’esborso e, in periodo di bassa inflazione, si garantiscono aumenti irrisori. Se le ipotesi di inflazione dei prossimi tre anni fossero confermate (0,5% nel 2017, 1% nel 2018 e 1,2% nel 2019) l’aumento sarebbe dunque di 51 euro lordi in tre anni, vale a dire meno di 13 EURO NETTI AL MESE in media sul triennio 2017-2019! Per altro si tratta di aumenti medi, parametrati al quinto livello, quindi qualcuno prenderà di più, ma molti prenderanno ancora meno.

Inoltre questo misero aumento sarà da scontare da eventuali aumenti in cifra fissa inseriti grazie alla contrattazione di secondo livello se non indicati come “non assorbibili”. Ciò significa che se in un’azienda si ottiene un aumento fisso di 31 euro, grazie all’accordo nazionale in busta ne entrano solo altri 20. In questo modo si incentiva l’eliminazione degli aumenti aziendali fissi, promuovendo accordi di secondo livello basati unicamente su premi variabili, incerti, legati ad aumenti di produttività e quindi di sfruttamento.

WELFARE. Non poteva mancare il welfare aziendale, caposaldo di tutti gli ultimi rinnovi dei contratti collettivi e vera mucca da mungere tanto per le burocrazie sindacali, che stanno nei CdA dei fondi, quanto per le aziende dei settori interessati (sanità ed assicurazioni soprattutto). Grazie al “miracolo” del welfare, sindacati ed aziende possono spacciare un aumento complessivo di 92 euro, di cui solo 51 in salario col resto in welfare. Peccato che questi contributi andranno soltanto ai lavoratori che usufruiranno di tali istituti (ad esempio coi fondi sanitari) o che aderiranno al fondo previdenziale Cometa, mentre per gli altri questi 41 euro andranno in fumo. L’obiettivo è indurre tutti i lavoratori ad aderire a questi fondi: viene azzerato il contributo a Metasalute a carico del lavoratore e 156 euro vengono posti a carico dell'azienda, mentre sul fronte previdenziale si aumenta il contributo delle imprese al fondo Cometa dal 1,6% al 2%.

PERCHE’ WELFARE AZIENDALE? Calano i contributi dei lavoratori e salgono quelli delle aziende: sembra un fattore positivo, peccato che nasconda delle insidie ben evidenti. Sul breve periodo le aziende risparmiano perché il valore quotato delle prestazioni di welfare (equivalente ad aumenti salariali che i padroni non corrisponderanno ai lavoratori) è nettamente più alto di quanto realmente pagheranno questi pacchetti sul mercato, anche grazie alla detassazione prevista dal governo. Sul lungo periodo la strategia è chiaramente quella di sostituire il welfare universalistico con quello aziendale: la pensione e la sanità saranno diritti non più universali, ma strettamente legati al lavoro. Il piano è chiaro: smantellare le tutele collettive, sostituendole con diritti individuali legati al posto di lavoro e quindi con un potenziale di ricatto che aumenta ancora se pensiamo che il licenziamento non comporterà solo la perdita del salario, ma anche del diritto alla salute per se stessi e per tutta la propria famiglia. Un vantaggio ulteriore per le aziende che pagano quote più alte per questi pacchetti, ma che risparmiano due volte facendoli pagare ai lavoratori sotto forma di aumenti salariali ridotti (dei 94 euro di aumento stimato solo 51 andranno in busta) e vedendosi ridurre le imposte che servivano a pagare quei servizi pubblici (vedi il taglio dell’IRAP dell’anno scorso che serviva proprio a finanziare la sanità). La difesa del sistema sanitario nazionale era stato uno dei punti di rottura tra la FIOM e gli altri sindacati nei precedenti rinnovi e non ci capisce davvero come ora si possa conciliare l’accettazione di un welfare aziendale così potenziato con la difesa e la valorizzazione del SSN, come sbandierato dalla FIOM nella sua piattaforma.

TI PAGO POCO E TI DICO PURE COME SPENDERLI. Nell’accordo sono inoltre previsti benefit in buoni carrello fino ad un massimo di 100 euro da giugno 2017, 150 euro dal 2018 e 200 euro dal 2019. Di fatto i sindacati accettano la possibilità di barattare aumenti salariali con buoni carrello, detassati per le aziende ma decontribuiti per i lavoratori. In questo modo si rischia di creare un danno contributivo irrecuperabile per milioni di lavoratori, soprattutto giovani, perché questi benefit non agiscono sugli istituti contrattuali (INPS oltre a INAIL, TFR, 13a, 14a). Senza contare che i buoni carrello limitano la libertà su come e dove spendere il proprio salario e che nel contratto non vengono definite le tipologie di questi benefit che saranno a totale discrezione dell’azienda: buoni benzina e buoni spesa, ma anche ticket per un centro benessere o biglietti per un parco giochi. Chissà, la fantasia dei padroni è senza limiti...

FORMAZIONE. Viene introdotto il diritto soggettivo alla formazione, pari a 24 ore nel triennio di cui 16 a carico dell’azienda. Nel caso in cui le aziende non predispongano un piano di formazione i lavoratori avranno a disposizione 300 euro da spendere nel triennio per attività formative.

NORME. Accettando di rinnovare l’ultimo CCNL separato del 2012 di fatto anche la FIOM eredita quei peggioramenti cui si era opposta in tema di malattia, straordinario obbligatorio e flessibilità. Nel nuovo contratto, per altro, è stata accettata la definizione di un orario plurisettimanale dove i recuperi siano concordati con le RSU. In pratica alle aziende viene consegnato un pacchetto di 80 ore che permetterà di arrivare fino a 48 ore settimanali (10 sabato l’anno ad esempio): una norma con cui le aziende potranno imporre straordinari obbligatori non pagati durante i picchi e far recuperare le ore quando c’è meno lavoro.
Viene messa in discussione persino la legge 104/92, quella che garantisce permessi per assistenza a familiari invalidi. Formalmente non cambia nulla, ma si obbligano i lavoratori e le lavoratrici a comunicare le date dei permessi addirittura 10 giorni prima che inizi il mese di riferimento.

Infine due aspetti forse ancor più inquietanti: nel contratto viene rimandata ad una seconda fase la negoziazione(?) delle modalità in cui verranno rispettate le clausole di raffreddamento previste dal “Testo Unico” del 2014, in pratica il divieto di sciopero per le associazioni firmatarie, e la revisione degli inquadramenti, che impatta anche su scatti di anzianità e salari. Praticamente un accordo in bianco: aumenti non noti, diritto di sciopero vietato e inquadramenti da rivedere.
Maurizio Sacconi, presidente della Commissione Lavoro del Senato, ha così commentato l’accordo: "Welfare integrativo e diritto di apprendimento per tutti quali postmoderne tutele effettive per la sicurezza dei lavoratori. (…) Ed esigibilità della condivisione dei risultati, attraverso il salario aggiuntivo, nelle aziende in cui si producono". Non ci sono mai piaciute queste parole: cosa sono le tutele postmoderne? Sono aumenti di salario irrisori che non bastano nemmeno a recuperare potere d’acquisto? E’ un salario trasformato in buoni sconto e biglietti per il centro benessere? Sono pacchetti di sanità e pensioni affidate a fondi privati che sostituiscono sanità e pensioni pubbliche? E quale sarà il destino di chi il lavoro lo perde?

Questo rinnovo, che non a caso condivide molti aspetti col futuro contratto degli statali, rischia di fare da modello per una nuova tipologia di contratto. Maurizio Stirpe, vicepresidente di Confindustria con la delega alle relazioni industriali, commenta così sul Sole24Ore l’accordo per il rinnovo dei metalmeccanici: «È chiaro che siamo pronti ad aprire la discussione sul futuro modello contrattuale avendo anche dei paletti di riferimento molto importanti.» Il modello cui ambiscono è un accordo di garanzia per le aziende che si assicurano la pace sociale grazie alle clausole di raffreddamento, erogano aumenti in “natura”, legano tutti gli unici aumenti salariali aziendali ad incrementi di produttività (cioè sfruttamento), concorrono al definitivo smantellamento del sistema pubblico sanitario e pensionistico.
Un attacco non solo ai metalmeccanici, ma a tutti i lavoratori, i disoccupati ed i precari. Un attacco che molti delegati e lavoratori sono intenzionati a respingere rifiutando l’accordo sottoscritto dai sindacati. Perché se anche la FIOM getta la maschera e sgombera il campo dell’opposizione, forse è davvero ora che i lavoratori si organizzino per i loro interessi. L'accordo sarà sottoposto a referendum il 19, 20 e 21 dicembre e sarà valido se approvato dalla maggioranza semplice dei lavoratori. Un NO potrebbe essere la prima mossa per il rilancio di una vera battaglia dentro tutti i luoghi di lavoro, contro una deriva contrattuale che spinge verso lo smantellamento di tutte le tutele ed i servizi collettivi in favore di un sistema individuale fatto di buoni spesa, pacchetti salute e pensioni private che servono solo a renderci più isolati, deboli e ricattabili.


Rete Camere Popolari del Lavoro