Il programma del governo che verrà. Un’analisi critica dell'Agenda Monti

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Lo scorso 23 dicembre Mario Monti ha presentato con gran clamore la sua Agenda, ovvero il manifesto con cui intende raccogliere consenso alle prossime elezioni e il programma su cui si stanno misurando le classi dominanti italiane. L’Agenda è stata accolta con entusiasmo dai media, che hanno festeggiato la “salita in politica” di Monti (come se finora non fosse stato al governo!), e ha riscosso un consenso quasi unanime fra intellettuali, addetti ai lavori e politici.

Pochi hanno provato a chiarire cosa l’Agenda diceva per davvero, finché questa non è proprio scomparsa dal dibattito, espulsa dal sistema mediatico che ha già cominciato a ingurgitare la sbobba elettorale, le sparate di Berlusconi, le prediche di Bersani, le polemiche su Grillo, gli inviti alla responsabilità di Napolitano...

Ci sembra invece il caso, per non soffocare nelle cazzate che ci propinano ogni giorno e nei finti scontri fra personaggi  politici, per riportare l’attenzione sugli elementi davvero decisivi della situazione in cui ci troviamo, di analizzare attentamente le cose scritte in quest’Agenda, i contenuti che esprime e le logiche di classe di cui è espressione.
Anche perché a sinistra, soprattutto fra i giovani e nel movimento, il dibattito non è stato molto ricco, anzi: c’è stata una vera e propria disattenzione rispetto ai punti di questa Agenda e varrebbe la pena chiedersi il perché. Forse alcuni, come i partitini della sinistra, erano troppo impegnati con le alchimie tattiche per superare la soglia di sbarramento, troppo impegnati nell’aprire dialoghi con il PD, nell’esaltare acriticamente la “società civile”, affidandosi all’ennesimo leader, che per di più è un magistrato che celebra lo Stato e attribuisce tutti i problemi dell’Italia alla mafia… Come aspettarsi da questi qui un’analisi nel merito delle politiche di classe del Governo Monti, una critica dell’Unione Europea, del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio come norma costituzionale? Quanto al movimento, ai collettivi, alle associazioni etc, sembrano purtroppo avere interiorizzato la difficoltà di incidere a un livello “alto”, almeno nazionale, e quindi tendono a disinteressarsi di questa dimensione essenziale della politica, a ripiegare sui propri progetti e rinchiudersi in un quartiere, in una facoltà o in uno spazio sociale…
Invece l’Agenda Monti – per quanto non apporti troppe novità rispetto alla linea già seguita da questo governo e alle proposte che la borghesia ha messo in campo da diversi anni, per quanto risponda a esigenze principalmente elettorali e quindi deve essere per forza di cose vaga, anche per agevolare la costruzione di alleanze nel confuso scenario post-elezioni – è la sintesi e la schematizzazione degli interventi che la frazione della borghesia più internazionalizzata intende imporre al paese. È, in altri termini, il piano di lavoro del prossimo governo, indipendentemente dall'esito delle elezioni.

Per questo capire attraverso l’Agenda Monti quella che è la strategia del nostro nemico, misurarla con gli altri processi che accadono a livello continentale, ci potrebbe aiutare a migliorare la nostra azione politica, a renderla più organica e in linea con le preoccupazioni del nostro blocco sociale di riferimento, con gli interessi di milioni di lavoratori, disoccupati, studenti, pensionati.
Proviamo a procedere per punti, individuando alcuni grandi temi che attraversano tutto il testo. Temi che non a caso sono passati un po’ sotto silenzio…

1. L’Italia, il polo imperialista europeo e la sponda Sud del Mediterraneo

È singolare che l'Agenda si apra con un'ammissione quasi marxista, come se l’ex PCI ed ex PD Pietro Ichino, co-autore se non vero autore del testo (nota 1), si fosse ricordato del suo passato: “La crisi ha impresso al processo di integrazione europea una accelerazione che sarebbe stato difficile immaginare solo pochi anni fa”. Questa è una constatazione importantissima, perché ci fa capire che i padroni hanno più chiara di noi la posta in gioco dell’Unione continentale e ragionino a fondo sullo scenario che si è aperto dal 2007 in poi. Dopo l'unione monetaria raggiunta nel 2002 il processo di integrazione europea si era infatti arenato: ma la crisi ha dimostrato che non si può rimanere in mezzo al guado e che la necessità della borghesia più "avanzata" (cioè di quella che intende competere a livello internazionale con gli altri grandi blocchi del mondo globalizzato – USA, Giappone, Brasile, Russia, India, Cina etc), è di fortificare la propria "base" economica e i propri apparati di governo. Ecco il motivo per cui bisogna procedere velocemente sulla strada dell’integrazione bancaria (nota 2) e sulla costruzione di un Tesoro comune (nota3) anche attraverso la leva dei project bond, ecco perché bisogna realizzare l’integrazione fiscale. È con questi giganteschi processi, con questi enormi interessi che si devono misurare i partiti di governo in ogni paese europeo, e in particolare in quelli più in difficoltà. Detto per inciso, in quest’ottica si capisce sia come diventi necessario per il PD obbedire alle ingiunzioni del Fiscal Compact, sia come non si possa ritenerlo un partito di “sinistra”, in grado di avviare politiche sociali e redistributive.

Ovviamente la crisi ha fatto anche sì che esplodessero alcune contraddizioni, che l'Europa si gerarchizzasse, che il processo di integrazione non si sviluppasse in maniera armonica, ma attraverso brutali semplificazioni e centralizzazioni decisionali. La frazione di borghesia italiana che Monti rappresenta vuole invece sedere anche lei al tavolo di gioco, disponendosi a un sistematico metodo di concertazione con i paesi "forti" dell'UE. Solo che per farlo deve conquistarsi un certo spazio di azione. Ecco spiegato anche perché il testo, così come gli interventi di Monti di questi giorni, siano attraversati da una fortissima polemica contro il precedente governo e il blocco sociale rappresentato da Berlusconi e Lega. Come a dire che il PD per questo genere di cose è un interlocutore ben più affidabile, e se ci aggiungiamo la sua consistenza elettorale e la relativa stabilità rispetto agli altri gruppi politici (che in questa fase sono piuttosto "gelatinosi"), possiamo considerarlo come la principale "diga" conservatrice in funzione in questo momento nel paese.

Insomma, chi pensasse che l'Italia sia destinata a giocare un ruolo da “macchietta”, memore della gestione dei rapporti internazionali di Berlusconi, potrebbe sbagliarsi di grosso. E qui si inserisce uno dei temi più ignorati da chi ha provato ad analizzare i propositi dell’Agenda: quello della guerra. In un contesto di crisi e di scontri di capitali a livello internazionale, il ricorso a questo mezzo è infatti sempre più necessario.
E la borghesia italiana ha tutta l'intenzione di fare un passo in avanti anche su questo terreno. Ancora scottata dal “rovescio” costituito dall'aggressione internazionale alla Libia, suo alleato fidato fino a pochi giorni prima dell'attacco, vuole tornare a concertare alla pari con la borghesia continentale usando tutte le cartucce a sua disposizione. Che sono:

- l'affidabilità del paese per gli scenari di guerra presenti e futuri, la presenza dei militari italiani in tutti gli scenari di guerra, con o senza la foglia di fico dell'ONU (si badi bene: risultiamo affidabili anche perché nessuno dei partiti che andrà in Parlamento fa propria la battaglia per il ritiro da tutti i fronti);

- l'indispensabilità della penisola nella gestione e rimodulazione dei rapporti con i nuovi governi della sponda Sud del Mediterraneo, arrivati al potere all'indomani delle “primavere arabe”;

- la centralità dell'Italia per la NATO e della NATO per l'Italia, una centralità che non viene messa in discussione nemmeno dagli “arancioni” di Ingroia e De Magistris, contento anzi di avere ancora il comando delle forze NATO vicino Napoli, dopo lo spostamento dalla sede da Bagnoli;

- la preminenza data all'industria bellica e la “delicatezza” con cui si tratta FINMECCANICA mentre in altri settori, pur essi “strategici”, come i trasporti o la produzione metallurgica, i tagli abbondano;

- le spese militari, mai messe in forse; o, ancora, la promessa realizzazione del progetto del MUOS di Niscemi per l'installazione di sistemi radar che saranno messi a profitto nelle prossime avventure imperialiste.

Insomma, non proprio un “patrimonio” da poco, che smentisce quell'immagine di “Italietta” che spesso traspare dalle cronache nostrane.


2. Come attrarre investimenti, o del “saper vendere”

Torniamo alla lettura dell’Agenda, ed arriviamo ai nodi di politica “interna”. Per guadagnarsi quello spazio che la borghesia imperialista italiana tanto anela bisogna infatti rendersi “credibili”. In questo senso Monti ha ragione nel dire che con i tagli messi in campo finora sono stati raggiunti risultati importanti (per loro): a furia di distruggere ogni spesa sociale, di tagliare sanità, scuola, sussidi etc, il saldo primario dell'Italia è attivo ormai per 39,5 miliardi di euro (nota 4); il nostro paese è forse il più "virtuoso" d'Europa in termini di spesa pubblica, che è ormai davvero ridicola, soprattutto se confrontata ai paesi del Nord Europa (cioè a quelli a cui si dice di voler somigliare) (nota 5).

Chiaramente Monti sa bene che di austerità si muore (non che gliene importi che moriamo noi, ma che muoiano - cioè non si valorizzino adeguatamente - i capitali italiani), per cui ha tutto l'interesse a fare “ripartire la crescita” (nota 6). Ma siccome esclude a priori la leva degli investimenti pubblici, il problema che si trova di fronte la borghesia italiana oggi è quello di reperire capitali e rimettere in moto l'economia. “Attirare investimenti” è così diventato un vero e proprio ritornello. Alla luce di quest'obiettivo, il programma del prossimo governo va considerato come un tutto organico, come una strategia che si sviluppa su differenti livelli:

a. un attacco al costo del lavoro e alle condizioni di lavoro. Per attirare investimenti – in particolare di soggetti stranieri, che sono gli unici in questo momento ad avere a disposizione una certa liquidità, e ovviare così ad un problema “storico” dell’economia italiana, che non è affatto competitiva da questo punti di vista – Monti intende creare un ambiente business friendly.
Detto in altri termini, ha bisogno di eliminare tutti quegli ostacoli, piccoli e grandi, che potrebbero dare fastidio alle multinazionali e ai fondi di investimento. È così che si spiega il tour all’estero di cui l'ormai ex primo ministro è stato protagonista, per farsi conoscere e marcare la discontinuità con il periodo berlusconiano; ed è così che nell’Agenda si arriva addirittura a parlare della "quotazione dell'aggettivo ‘italiano’ nel mondo"! Ma le simpatie internazionali non si catturano solo con un buon marketing: Monti doveva e deve aggiungere altre frecce al suo arco per centrare il cuore degli investitori...

In questo senso Monti ha innanzitutto “venduto” nel suo primo tour la maggiore precarietà operaia ottenuta con la Riforma Fornero. Gli investitori esteri si sono dimostrati interessati, ma hanno chiesto di più. E così nell'Agenda troviamo i prossimi passaggi, sempre all'insegna dell'attacco al costo del lavoro, e quindi ai diritti dei lavoratori, ai loro contratti, tempi e modi di lavoro, al loro (ormai minimo) potere.
Da questo punto di vista Monti è esplicito: parla di potenziare la contrattazione di secondo livello, cioè di distruggere il contratto collettivo nazionale; intende dichiarare finita la concertazione, che in passato ci veniva sempre presentata come "cosa buona e giusta", e infine vuole relegare le parti sociali in un ruolo meramente consultivo rispetto alle decisioni del governo e del padronato...

I problemi che però incontra un investitore esterno non sono però solo quelli delle presunte “rigidità” del nostro mercato del lavoro. C'è anche quello delle lungaggini burocratiche. Per questo secondo Monti bisogna introdurre la “semplificazione amministrativa”, secondo una formula moderna e rassicurante che non potrebbe trovare alcuna opposizione. Ma quando si tenta di capire che significa, si scopre che la più grande “semplificazione” è quella delle misure di sicurezza sui posti di lavoro, così da rendere possibile per il capitale un più intensivo sfruttamento della forza operaia, senza il rischio di incappare in quella “burocrazia” che tanto rallenta i processi produttivi. E se poi qualche lavoratore (ben più di “qualche” purtroppo) dovesse perdere un dito, una gamba o la vita, vorrà dire che si sarà patriotticamente sacrificato sull'altare del “bene comune”... In ogni caso si può dire che il perno dell’Agenda (e quindi il più importante obbiettivo del prossimo governo) è ancora una volta l'attacco al mondo del lavoro, con annesso aumento della precarietà, della competizione, della produttività.

b. riforma delle pensioni e incentivi ai fondi pensione. Un altro “successo” del Governo Monti – uno dei pochi, visto che non è riuscito a scardinare, come pretendeva, le resistenze corporative di settori come i tassisti o i farmacisti – è rappresentato dalla riforma delle pensioni. Una riforma profondamente ingiusta, che ha innalzato l’età pensionabile e ha reso ancora più miserabili le cifre percepite dalla maggior parte dei pensionati, una riforma che ci ha portato ad essere all’“avanguardia” in Europa. Sbaglieremmo, però, se pensassimo che su questo versante non c'è più nulla da attendersi. Il Governo intende infatti procedere anche sui fondi pensione, e utilizzare questa leva per mettere in circolo liquidità (nota 7). Infatti uno dei problemi del capitalismo italiano (a differenza di quello che accade negli altri paesi, dove molti degli investimenti vengono effettuati proprio dai fondi pensione), è che tiene immobilizzate quote ingenti di risparmio dei lavoratori.

Oggi la quota di salario che il lavoratore accantona ogni mese per la pensione non è infatti inserita nel circuito speculativo. Qualcosa di simile si potrebbe dire per quella propensione tutta italiana al risparmio, che fa conservare i soldi in banca per arrivare magari all’acquisto di una casa piuttosto che metterli in circolo attraverso l’investimento in titoli, in azioni etc.
A questo proposito bisogna osservare che alcune misure del governo, pur se pensate per fare cassa nell’immediato, giocano anche nella ristrutturazione funzionale al capitale delle abitudini e delle tendenze degli italiani. La riforma delle pensioni spinge così “naturalmente” verso le pensioni integrative – infatti senza “previdenza complementare” come si farà a campare con le pensioni da fame di cui, secondo gli stessi calcoli dell'INPS, “godranno” i lavoratori di oggi? –, e consente di mettere in circolazione capitali, proprio come l'IMU rende meno conveniente comprare una seconda casa per i propri figli. Basta insomma col rifugio del “mattone”: la ricchezza privata italiana deve andare a riversarsi altrove.  

c. costruzione del consenso. Monti sa che la sua ricetta non è di facile digestione per milioni di proletari, e sente quindi in maniera forte la necessità di trovare nuove forme attraverso cui estorcere consenso. Anche perché, con la stretta operata contro alcune frazioni di borghesia (costrette ora a subire controlli antievasione, per quanto blandi,  e destinate a veder ridimensionato il loro ruolo politico nel paese) Monti si preclude il sostegno di quelle categorie a cui parlavano Berlusconi e Lega.

Monti cerca quindi consenso –attraverso l'appello ai giovani, la mitologia delle start up, la centralità del “merito”, l'attacco ai cosiddetti lavoratori garantiti – proprio fra i neolaureati senza speranza, fra gli impiegati nel privato, fra tutti gli incazzati contro i costi della politica (nota 8).
A mo’ di esempio valga una delle misure di cui si parla nell’Agenda: vengono previste detrazioni in favore delle imprese che assumeranno donne. La giustificazione è nobile: poiché l’Italia è uno dei paesi europei col minor tasso di occupazione femminile, c’è la necessità di far partecipare di più il “sesso debole” al mercato del lavoro… Ma ciò che a prima vista può sembrare una misura in favore delle donne, e in particolare di quelle più scolarizzate, sensibili quindi al tema, e in questo senso cooptabili, è in realtà tutt'altro. Attraverso la leva della detrazione fiscale si vogliono solo fare passare agevolazioni alle imprese che sarebbe molto difficile motivare altrimenti. Soprattutto in un momento in cui il carico fiscale sul lavoro dipendente è a livelli altissimi, e lo stesso Monti deve promettere generici abbassamenti delle tasse.


3. La distruzione di scuola, università e territori

Come detto, Il progetto montiano è ben più di un programma di governo. Vuole fornire le linee guida per una trasformazione più complessiva della società, per cui non può non toccare gli altri gangli vitali del paese.
In questo senso al capitalismo nostrano va fornito un sistema formativo più adeguato alle esigenze del profitto. Si spiega così perché il riferimento per i finanziamenti alle scuole saranno le prove INVALSI. Per fare profitti non serve infatti una cultura come sapere critico, bastano un insieme di nozioni e di pacchetti di programmi da scaricare nella testa degli studenti. Anche per questo il Governo è intervenuto in maniera così radicale sui meccanismi di selezione del corpo docente. Con l’ultimo “concorsone”, infatti, non solo si è giocata una grande partita ideologica e si sono contrapposti i "poveri" fra loro (precari storici vs laureati), ma si è anche selezionata la classe docente in base al "mettere le crocette". Una classe docente così selezionata sarà più pronta a insegnare in modo nozionistico e a comunicare soprattutto l’obbedienza e il rispetto delle gerarchie sociali. A tutto questo va aggiunta la spinta verso gli istituti tecnici e i disincentivi ad andare all’università, bloccando quel meccanismo di mobilità sociale che, fino a qualche decennio fa, incrinava le logiche classiste della nostra società.

Quanto alla ricerca universitaria, viene chiaramente detto che deve essere sempre più finalizzata all'interesse delle aziende multinazionali e persino delle imprese locali. Inoltre i dipartimenti vengono sottoposti a procedimenti valutativi e a meccanismi di rating che li assimilano al funzionamento di uno Stato in lotta contro il debito: meno spendi più sei apprezzato, più attiri investimenti privati più sei virtuoso. In questo senso la “meritocrazia”, non a caso il discorso su cui più insiste Monti, serve proprio a colmare ideologicamente questo spread fra il voler-fare e il non-poter-fare.

Siccome poi l’Agenda sogna lo smantellamento di tutto quello che è pubblico, la sottomissione agli interessi privati di ogni sfera sociale, nel programma di Monti appare chiaramente anche all’attacco ai territori. Che sia il patrimonio immobiliare dello Stato all’interno delle aree metropolitane, o quella campagna che una strada o una ferrovia dovranno attraversare, i territori vanno asserviti alle esigenze dell'accumulazione e della privatizzazione, slegati dal rapporto con i cittadini che vivono quello spazio, e misurati direttamente con il loro valore in termini di capitale reale o potenziale.
Ecco perché nell’Agenda si parla di "dismissione", che poi vuol dire svendita, del patrimonio pubblico ai soliti "prenditori" e palazzinari. Ancora più inquietante è il disegno che sembra intravedersi nella messa all’asta delle proprietà confiscate alla mafia, che vuol dire rimettere in circolo quei beni con la certezza che ritorneranno in mano agli antichi proprietari (nota 9). In entrambi i casi, il desiderio di fare subito cassa di uno Stato “debole” (solo con i ricchi, è chiaro), appare evidente.   
Infine il Governo, anche per evitare nuove Val Susa e l’emergere di nuovi e “destabilizzanti” movimenti come il NO TAV, elimina direttamente alcuni vincoli legislativi per far partire più facilmente i cantieri. Ancora una volta appare la necessità di eliminare tutti quei “lacci e lacciuoli” che impediscono o rallentano la valorizzazione del capitale.


4. Una democrazia autoritaria

È evidente quindi come questo governo rafforzi tendenze autoritarie, anche nella gestione del conflitto sociale. Il colpo di mano contro la magistratura sulla vicenda ILVA, il relegare i sindacati a un ruolo consultivo, il rispondere alle giuste proteste solo con il manganello, interpretandole come questione d'ordine pubblico e non come problema politico, sono esempi significativi. Basti solo pensare agli arresti a Padova per il corteo del 14 novembre, o alle condanne a 6 anni per il corteo del 15 ottobre 2011. Ma si pensi anche ai project bond che vengono finanziati solo se il progetto viene effettivamente compiuto, e quindi rendono la realizzazione di una ferrovia questione di “vita o di morte”, si pensi alle dichiarazioni dei vari ministri, da Severino alla Fornero che da mesi stanno dicendo che, in tempo di crisi, o è così o è così, che non è l'epoca dei diritti, non c'è più tempo per discutere etc.

Non c’è però contraddizione fra questa enfasi repressiva e la ricerca del consenso, anzi: le denunce e le condanne, l’uso di una legislazione emergenziale, vanno perfettamente d’accordo con la rassicurazione e la cooptazione di altri segmenti sociali in quel momento e solo apparentemente esclusi dai provvedimenti. In questo senso, per quanto le forme possano essere differenti, basta andare all’esperienza del fascismo negli anni ’30 o alla Democrazia Cristiana degli anni ’70 per capire che repressione e produzione del consenso procedano a braccetto. La sfida della nostra borghesia oggi è ancora più grossa: è quella di chiudere definitivamente con un’epoca di diritti e compromessi, è quella di incidere non solo sulla struttura sociale e sulla condizione materiale delle classi subalterne, ma sulle relazioni sociali, sulle aspettative di vita e sulle forme istituzionali.


In conclusione: una mission impossible? Forse no

Se questa è la mission che ha assunto questo Stato aziendale (è singolare che tale tratto sia stato sottolineato anche da noti editorialisti borghesi (nota 10)), il nostro compito, di contrastare a 360° questo progetto, ci potrebbe sembrare una mission impossible. Da un lato infatti c’è una borghesia che, nonostante alcuni ostacoli interni e una difficoltà di rappresentanza politica forte, ha un progetto chiaro in mente, ha individuato i cavalli sui quali puntare per la gestione di questa fase; dall’altro lato ci sono forze di classe frammentate, che mostrano una certa conflittualità a livello locale e vertenziale ma che non riescono ad emergere come soggetto politico coeso capace di pesare a livello nazionale.

Partita chiusa quindi? Noi pensiamo di no. E questo innanzitutto per i segnali che provengono dal campo avverso. Come accennavamo, il nemico di classe non è un corpo omogeneo. Il ritorno di Berlusconi, ad esempio, per quanto destinato alla sconfitta, incarna la protesta di una frazione della borghesia che teme di soffrire – e in parte già soffre – un pesante attacco da parte di Monti e dei suoi sponsor. Sa bene che in gioco è per certi versi la sua stessa sopravvivenza e cerca di resistere con le unghie. D'altra parte, lo stesso Monti ha dovuto fare i conti con la necessità di raggiungere compromessi, di tessere alleanze con soggetti che rappresentano interessi talvolta divergenti con quelli da lui incarnati. Così la velocità dell'azione del governo Monti non è stata massima come ci si poteva aspettare: pause, rallentamenti, marce indietro, ravvedimenti, sono stati all'ordine del giorno anche per il governo dei tecnici e non è assolutamente scontato che lo scenario che verrà fuori dalle urne permetterà loro un’accelerazione eccezionale. Esponenti di spicco dell’ultimo governo, come Passera, si sfilano aspettando tempi migliori, proprio perché sanno che non si è riusciti a fare di Monti quella figura capace di raccogliere i consensi trasversali che gli avrebbero facilitato l'opera di “modernizzazione”, malgrado la sua azione di governo abbia goduto all’inizio della più grande maggioranza parlamentare del paese.

Insomma, c’è ancora tempo, siamo ancora nel pieno di una fase di transizione, in cui possiamo provare a mettere in piedi una resistenza capillare e coordinata. Sta a noi capire come sciogliere l'ingarbugliata matassa di malessere, depressione, voto di protesta, azioni fini a se stesse, lavoratori assai combattivi in ambito vertenziale ma poco presenti come soggetto politico… Lo spazio politico, in astratto, non manca. Testimonianza ne sono anche i tentativi che si sono moltiplicati in fase elettorale di creare soggettività capaci di raccogliere i voti di soggetti variegati, stufi, ma allo stesso tempo disponibili a mettere in gioco la propria intelligenza ed energia. In questo senso individuare le linee che percorrerà l'attacco del prossimo governo secondo noi è solo un piccolo passo per non partire sempre troppo indietro rispetto al nemico di classe. Un passo necessario, ma di certo non sufficiente.


note

1 Cfr. Ichino: «Io estensore dell'agenda Monti? No, ma...». E poi: «Mezzo Pd con me e Renzi», 24 dicembre 2012 (torna su)
2 Cfr. Ecofin: intesa su supervisione bancaria, controllo centralizzato dal 2014. Fissato nella notte il primo tassello dell'unione bancaria. Barroso, Monti e Merkel: accordo straordinario, 13 dicembre 2012, e Unione bancaria europea e nuovo ruolo della BCE, 21 dicembre 2012. (torna su)
3 La proposta Van Rompuy: un ministero del Tesoro dell'euro per collocare bond e incentivare le riforme, 12 ottobre 2012 (torna su)
4 Francesco Schettino, La crisi, quattro anni dopo. Da Lehman Brothers alla questione del debito europeo, 4 gennaio 2013 (torna su)
5 In questo senso farebbe persino ridere, se non avesse conseguenze disastrose, il fatto che in uno dei primi paragrafi dell’Agenda si parli di "corsa della spesa pubblica" e la si associ all'impennata del debito… (torna su)
6 Attenzione: abbiamo già spiegato come queste espressioni siano assolutamente ideologiche, come ad esempio la nostra austerity rappresenti in realtà la crescita della Germania. Cfr. Crisi dell’Eurozona. Cos’è, quanto male fa e cosa possiamo fare noi, 10 giugno 2012 (torna su)
7 Qui l’Agenda recita testualmente: “va quindi dato un nuovo impulso alla previdenza complementare favorendone anche la crescita dimensionale con incentivi ai processi di fusione tra i fondi” (torna su)
8 A questo proposito si noti la patetica sottolineatura che nell'Agenda ha il taglio delle auto blu… (torna su)
9 Agenda Monti: La lotta alle mafie resta in superficie e senza legalità parlare del resto è superfluo (chiedere al Nord), 7 gennaio 2013 (torna su)
10 Cfr. L’editoriale critico di Guido Rossi nientemeno che sul Sole24Ore, commentato ne Il paradosso italiano, l'ossimoro europeo, 23 dicembre 2012 (torna su)

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