La ridefinizione del discorso sulla classe in Cina

Conosciamo bene cosa significa sopportare le umiliazioni e la noia di un lavoro ripetitivo ed insensato solo per paura di perdere il proprio magro stipendio. Oppure l'angoscia di non potersi costruire una vita perché disoccupati e messi in stand-by da chi profitta allungando i tempi di lavoro, piuttosto che ridistribuendolo. Per quanto nota e generalizzata, questa condizione viene dissolta in un insieme di problemi individuali e specifici, facilmente oggetto della repressione e delle concessioni (e delle retoriche) di chi la governa per preservarla. Gli stessi che la subiscono rimuovono ciò che li accomuna e finiscono per interpretare la propria situazione coma una sorta di anomalia, una personale disgrazia.

In questo testo sulla "Ridefinizione del discorso sulla Classe in Cina", Pun Ngai e Chris King–Chi Chan ci mostrano l'evoluzione nella retorica ufficiale e nell'accademia cinese, dell'uso e del significato di quel concetto che, unico, ci permette una vera comprensione di quella condizione e della possibilità del suo superamento. Partendo dal paradosso (che non ci stupisce) per cui nel momento in cui nella emergente fabbrica del mondo sorge una classe di espropriati "funzionali al sistema di produzione globale", si proclama "la morte dell'analisi di classe". Il terreno perché ciò accadesse si stava preparando già in epoca maoista, quando il concetto di classe non rimandava solo alla lotta ed alla tensione utopica verso il socialismo, ma "mirava anche a dare identità ad ogni soggetto cinese". Alla fine prevalse questo secondo aspetto, che confinava i soggetti "all'interno di una definizione reificata" ed essenzialistica di classe e rendeva la politica il luogo naturale in cui i rispettivi interessi venivano rappresentati. La lotta di classe si risolveva così nella lotta tra fazioni.

Spettò poi alle riforme di Deng Xiao Ping annunciare la morte della classe, rimpiazzata da un discorso sulla modernità che conteneva la promessa di permettere a “una parte della popolazione di diventare ricca per prima”. Questo proprio nel momento in cui si andava formando massivamente una nuova forza-lavoro composta da "lavoratori migranti provenienti dalle campagne e riversati nelle nuove zone industrializzate, che andavano a costituire il terreno di crescita del capitale globale, desideroso di attingere all’enorme quantità di forza-lavoro cinese a basso costo". Allo stesso tempo e dall'altra parte del globo, proprio questo fenomeno contribuiva alla de-industrializzazione di una società occidentale che, perdendo la massa critica di lavoratori industriali, sembrava diventare la società "senza classi e senza lavoro" di cui parlavano i sociologi europei ed americani. Gli studiosi cinesi aderenti al progetto di riforme di Deng ritrovarono così nei loro analoghi occidentali la conferma della morte della classe che andavano cercando, ed il cerchio si chiuse. La società diventava così un mosaico di stratificazioni sociali non antagoniste ed anche i brutti ricordi legati alla lotta tra fazioni venivano esorcizzati.

Non si risolvevano però di certo le conseguenze legate all'accumulazione di capitale, mistificato a "sviluppo economico". Ritradotte nelle questioni della diseguaglianza e della polarizzazione sociale, ponevano al partito-stato il problema della compensazione tra crescita ed uguaglianza. Afflitta da una" cacofonia di proteste originate dalla polarizzazione della società e da un incremento repentino delle azioni collettive",  la nuova direzione politica inaugurata nel 2002 da Hu Jintao e Wen Jiabao prova a rafforzare le basi della propria legittimità attraverso la retorica della "Società Armoniosa". In nome di questa nozione, il partito-stato intende offrire alla nuova classe operaia una protezione statale e giuridica come forma di riequilibrio sociale. Così, pur limitatamente, la nozione di "classe" riemerge in quanto elemento del progetto egemonico della nuova dirigenza politica, un tentativo di riconciliazione con una classe operaia disillusa, che ha anche portato al riconoscimento dei lavoratori migranti come lavoratori produttivi.

L'analisi di classe, però, tornerà ad essere uno strumento di emancipazione sociale soltanto "a condizione che si radichi su un’esperienza di classe proveniente dal basso, cioè sulla micropolitica quotidiana del regime della fabbrica-dormitorio, all’interno del quale i lavoratori stessi si trovano ad affrontare il capitale e il mercato". A dirlo sono ricercatori e ricercatrici che in mesi di lavoro sul campo hanno saputo costruire "un linguaggio comune con lavoratrici e lavoratori nei cantieri edili così come nelle fabbriche della Foxconn", "riportando in superficie l'alterità rispetto al potere" e la soggettività degli operai migranti sulla cui schiena grava l'accumulazione globale e la modernizzazione del gigante asiatico (su questo si veda la bellissima introduzione alla raccolta di scritti di Pun Ngai et al. di Devi Sacchetto e Ferruccio Gambino su connessioniprecarie.org). Dal loro lavoro ha molto da imparare chiunque sappia che non riconoscere di essere parte di una classe significa in sostanza accettare di esserlo e che la coscienza di appartenervi è solo un passo contro questa forzata appartenenza – e che nello strumento dell'analisi di classe trova un'arma in questa lotta.


La ridefinizione del discorso sulla classe in Cina
di Pun Ngai e Chris King-Chi Chan

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Introduzione
Storie di morte nei dormitori degli operai cinesi rivelano notizie che fanno epoca a proposito delle lotte esistenziali di un nuovo soggetto lavoratore in Cina, il lavoratore migrante (in cinese dagongmei/zai), la cui soggettività di classe non è ancora nata, ma che già si trova sottoposto a dure condizioni di assoggettamento nella Cina contemporanea.
La morte, il destino ultimo dell’esistenza, esprime la propria resa l’abbandono di ogni tentativo di continuare a vivere, per non parlare di continuare a resistere. Non siamo ancora sicuri se i lavoratori migranti provenienti dalle campagne abbiano la possibilità di reincarnarsi, o se debbano rimanere dei ren, cioè degli esseri umani (Yan, 2003). L’ideologia politica del neoliberismo, attualmente dominante, ha proclamato la sentenza di morte dell’“analisi della classe”, rifiutandosi così di riconoscere la materialità della formazione di una nuova classe, proprio mentre la Cina sta fornendo al sistema di produzione globale oltre centoventi milioni di lavoratori provenienti dalle campagne. Le urla e i suicidi sono atti corporei di resistenza del nuovo soggetto operaio, che reagisce alla stretta imposta dal potere e dalle forze che dominano il processo di inclusione della Cina nell’economia globale.
Questo saggio vuole sciogliere un paradosso: nell’epoca in cui la Cina sta cercando di trasformarsi nella fabbrica del mondo, si incontra una tendenza a ripercorrere un processo di ridefinizione del discorso sulla classe contro il sorgere della nuova classe dei dagongmei o dagonzai, i quali subiscono un’espropriazione funzionale al sistema di produzione globale. Cercheremo quindi di cogliere le sottigliezze del progetto egemonico intrapreso dalla “ricerca di globalità” condotta dalle ideologie politiche neoliberiste, che vogliono disgregare una nuova classe in formazione. Il paradosso di questo processo è comunque racchiuso nella storicità della politica della “classe e rivoluzione”, una specifica pratica maoista di lotta di classe proveniente dall’epoca socialista. La denuncia immediata pronunciata contro la lotta di classe di Mao ha preparato la strada alla contorta ridefinizione del discorso sulla classe nell’epoca della globalizzazione. Di conseguenza possiamo notare una duplice alienazione, se non un duplice trauma, nella formazione della classe operaia in Cina: in primo luogo, un’articolazione dall’alto della classe e della lotta di classe nella Cina maoista, e, in secondo luogo, una rapida ridefinizione del discorso sulla classe durante l’epoca delle riforme. Questa duplice alienazione è l’esito di una decisione politica e di una rimozione della materialità della struttura sociale, che neutralizzano il prodursi di nuove relazioni in una società cinese in rapido cambiamento.
Il discorso attuale sulla stratificazione e sulla diseguaglianza sociale opera come la negazione del concetto maoista di “lotta di classe” attraverso un ulteriore assoggettamento del discorso sulla classe che echeggia nel contempo le dichiarazioni occidentali, invalse a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, sulla morte dell’analisi della classe. L’analisi weberiana sembra una scelta neutra e dettata dalla logica, in quanto implica una consapevolezza dei “problemi sociali” e delle “tensioni sociali” presenti nell’attuale regime politico, ma al tempo stesso anche una conferma della bontà del progetto riformista per contrastarli.
Una genuina paura di un ritorno al socialismo cinese, che significherebbe “povertà uguale per tutti, disordini politici e totalitarismo”, è la causa di questo ritorno “naturale” dall’analisi marxista della classe e delle sue stratificazioni a un’analisi di tipo weberiano. La nuova classe operaia, fin dal momento della sua nascita, sperimenta una lotta per la vita o per la morte, manifestandosi come uno spettro che fluttua ovunque senza voce, senza identità e senza un luogo dove trovare la propria collocazione.
[...continua]

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iniziative in programma sull'argomento

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Materiali di approfondimento
- Cina: epicentro emergente del conflitto mondiale tra capitale e lavoro? (di Beverly J. Silver - Lu Zhang) - clashcityworkers.org
- 10 paragrafi contro una mela marcia (di gongchao.org) - clashcityworkers.org
- La ridefinizione deL discorso sulla classe in Cina (
di 
Pun Ngai e Chris King-Chi Chan) - clashcityworkers.org
- Le spine del lavoro liquido globale (di F. Gambino - D. Sacchetto) - connessioniprecarie.org
- Fine dell’era della fabbrica del mercato mondiale (di Pun Ngai, Han Yuchen, Shen Yuan, Lu Huilin) - connessioniprecarie.org
- Intervista di Ror 87.9 a Ralf Ruckus del collettivo gongchao.org

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