Sul 17 Maggio a Roma: uniti e inflessibili contro le privatizzazioni. Per il controllo operaio

Quasi 10000 persone hanno sfilato Sabato 17 a Roma in un sereno e determinato corteo che ha ribadito il rifiuto di ogni ipotesi di privatizzazione dei servizi pubblici.

Nonostante l'esito del referendum del 2011, infatti, non si è mai sedata quella spinta privatizzatrice capitanata dalle istituzioni europee e recepita dai vari governi tecnici o di "larghe intese" che venne rilanciata l'estate di tre anni fa, quando la BCE mandò la famigerata lettera all'allora governo Berlusconi intimandolo di procedere verso "privatizzazioni su larga scala".
Nella retorica dominante sarebbe questo il volano della crescita, nonostante i decenni passati di privatizzazioni in Italia (e non solo) testimonino il contrario, come addirittura uno studio di Confindustria del 2000 sostiene esplicitamente. A rendere plausibile questa illusione sono anche i decenni di uso ed abuso delle aziende pubbliche a vantaggio delle classi dirigenti e delle loro clientele.



A rendere forte chi da questa ne trae vantaggio, è da una parte una crisi epocale che impone decisioni urgenti, limita i margini di manovra e liquida i piccoli padroni e le classi medie che dal capitalismo clientelare traevano la propria linfa; nonostante non goda di alcuna fiducia nella grande massa delle persone che lo subiscono, il grande capitale più internazionalizzato riesce così ad imporre la sua agenda come quella di interesse generale. Dall'altra parte sono le divisioni tra lavoratori alimentate da anni di piccole concessioni e favoritismi che le stesse classi dirigenti sono riuscite ad elargire per placare gli animi e contenere i conflitti, spesso con la compiacenza e la complicità delle associazioni sindacali che si facevano bastare le poche briciole che queste elemosinavano.

Il conto di questa situazione oramai insostenibile dovrebbe ora essere ripagato con i sacrifici dei lavoratori e delle lavoratrici. In cambio magari della “rottamazione” dei vecchi padroni in nome di altri più giovani e rampanti (fosse vero!), a pagare il grosso del conto sarebbero i dipendenti delle aziende pubbliche e tutti quelli che usufruiscono del loro servizio, decurtati di salario diretto ed indiretto (quello ottenuto con il welfare) e costretti a condizioni peggiori di lavoro e di servizio.

A Roma la situazione è poi particolarmente grave in virtù degli annunciati tagli alle disastrate finanze comunali. Perché questo non comporti l'ennesimo disastro sulle proprie condizioni di lavoro, proprio in questi giorni stiamo assistendo alla mobilitazione dei dipendenti diretti capitolini, alla nascita di un coordinamento dei lavoratori delle partecipate, alle lotte dei dipendenti ATAC ed alla costituzione di un piccolo, ma combattivo, .
 Proprio con loro eravamo in piazza, insieme a tanti altri compagni e compagne (tra cui il Collettivo Militant) ed affiancati da lavoratori e lavoratrici Atac ed Aci Informatica, con uno striscione che recitava: “Privatizzare non è la soluzione/Controllo operaio sulla produzione”.

Perché nessun “bene comune” può ergersi sul sacrificio di chi lavora, ma è anzi proprio a partire dal protagonismo dei lavoratori che può prodursi una comunione di beni realmente volti alla soddisfazione di bisogni. 
Un'arma di questa battaglia è, al di là di ogni artificiosa distinzione tra lavoro manuale ed intellettuale, quel sapere condiviso sviluppato quotidianamente da chi è costretto a cooperare nel processo produttivo. L'altra è il più grande bene comune che abbiamo a disposizione: l'unità tra tutti quelli che pagano il prezzo della propria condizione di sfruttati intossicandosi nel posto di lavoro o nel luogo in cui si trovano a vivere, costretti, finché divisi, dal ricatto della disoccupazione o dal proprio magro salario ad accettare i peggiori compromessi. Nel suo piccolo, la giornata di Sabato è stato una manifestazione di questa immensa forza possibile.



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