Questione contadina e "questioni bracciantili". Report dell'incontro nazionale di Genuino Clandestino

Nella seconda giornata di incontro nazionale della rete Genuino Clandestino, si sono svolti i 7 Tavoli tematici di dibattito che hanno riunito le numerose realtà territoriali e transterritoriali della Basilicata, della Puglia, della Calabria e del Piemonte (come la Rete Campagne in Lotta, le Brigate di Solidarietà Attiva, SOS Rosarno, l'Osservatorio Migranti Basilicata, il Coordinamento lavoro bracciantile piemontese) nel confronto intorno alle questioni più urgenti, problematiche e intrise di contraddizioni che vive attualmente il mondo rurale e tutte le situazioni ad esso connesse.

Al tavolo di discussione sul lavoro bracciantile ed il caporalato in agricoltura, era esattamente l'urgenza di trovare risposte concrete e subito operative, ciò che si percepiva con forza tra tutti i soggetti e le realtà che hanno partecipato al confronto. Perché sulle indegne condizioni di lavoro bracciantile, la cui posizione di subalternità riguarda oramai in prevalenza gli immigrati extra e neo-comunitari, e sulla connessa e odiosa questione del caporalato, è stato già detto e scritto molto (anche se mai a sufficienza), e sono stati studiati e messi in campo alcuni strumenti di intervento, come la legge sul caporalato. Eppure la questione è ancora lì, aperta e grave più che mai e soprattutto lungi dall'essere risolta. Di qui l'intento, ambizioso, posto all'inizio del dibattito, di avviare una analisi disincantata e attenta sulle possibili alternative al modello di produzione agro-industriale neo-liberista e capitalista, che ha nel proprio DNA lo sfruttamento del lavoro e la devastazione del territorio. Un modello che si nutre di forme di controllo e disciplina del lavoro come quella del caporalato, di cui quindi è diretto responsabile. La proposta non è di poco conto. Spesso, infatti, si incorre nel rischio di rifugiarsi in soluzioni a dir poco romantiche, di un ritorno tout court alla produzione contadina, astraendo dall'insieme di relazioni di produzioni capitalistiche che la attraversano.

Questo è stato uno dei primi nodi problematici usciti dal tavolo di ieri: come intrecciare la 'questione contadina' con le questioni bracciantili, tenendo in lucida considerazione il contesto storico in cui sono inserite. La configurazione internazionale del capitalismo, con la crescente concentrazione di capitale e potere a monte e a valle delle filiere di produzione, lascia poco margine ai piccoli produttori agricoli, non solo a coloro che direttamente vi sono inseriti ma anche a coloro che vivono ai margini di questa configurazione. E il piccolo produttore, anche per necessità di sopravvivenza e riproduzione, da 'strozzato' si fa 'strozzino' nei confronti del lavoro subordinato di cui necessita, quando lo sfruttamento non è direttamente rivolto a se stesso. La contraddizione è enorme a questo livello. Quanto è grande la necessità di trovare soluzioni anche azzardate.

Da una parte si sono cercati quindi gli strumenti attraverso i quali intervenire direttamente nei circuiti economici di produzione e distribuzione. Riappropriazione e occupazione le prime parole d'ordine. Di terre incolte e abbandonate, per garantire fonti di sostentamento soprattutto a chi per effetto della crisi è tornato a popolare le campagne: precari, disoccupati, cassaintegrati, immigrati e non. Ma non solo. Riappropriazione e controllo dei circuiti di distribuzione al fine di scardinare quelli esistenti e ricostruirne di alternativi. Anche perché era unanime il giudizio sull'insufficienza dei dispositivi di legge e delle tutele sindacali, che fino a questo punto hanno segnato il fallimento degli interventi sullo sfruttamento del lavoro e sul caporalato, producendo esiti generalmente inconsistenti sul piano dell'avanzamento delle condizioni e delle tutele dei braccianti ed al massimo funzionali all'auto-riproduzione delle organizzazioni sindacali confederali. Rimane una questione aperta se questo significhi rinunciare alla centralità della lotta sindacale dei braccianti e non piuttosto spingere ad un suo rafforzamento, che ridefinisca e reinventi magari gli strumenti del conflitto e quindi le forme di supporto militante, ma che possa anche passare per la costituzione di una rappresentanza istituzionale riconosciuta. Forme organizzative che sappiano riconoscere la controparte reale dello scontro, e contemporaneamente essere da questa riconosciuta. Una controparte che si nasconde dietro una filiera spezzettata e dispersa, ma a cui si deve essere in grado di risalire di modo da non essere semplicemente agenti inconsapevoli di processi di concentrazione del capitale ed essere così in grado di parlare a tutti quei piccoli produttori agricoli di fatto dipendenti, strozzati e sfruttati dalla grande industria agricola.

La risposta a questa domande strategiche non potrà che provenire dal proseguo delle lotte e dalle pratiche che si riusciranno a mettere in campo. Come collettivo che ha come scopo primario quello di rendere pubblico e far conoscere e comprendere le lotte degli sfruttati perché possano essere individuati degli elementi concreti che ne favoriscano l'unità, ci siamo impegnati a dare visibilità e seguire tutto ciò che avverrà dopo questa importante giornata di discussione e confronto.

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Per approfondire
- Corrispondenze su ondarossa.info
- Le baraccopoli della sinistra italiana (di Devi Sacchetto)
- La normalità a cottimo. Ritornare a Nardò a un anno dallo sciopero (di connessioni precarie)

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