Eataly: lo squalo Farinetti manda il delfino. Analisi del linguaggio padronale

Ripubblichiamo da Cortocircuito.
L’affaire Eataly, inaspettatamente salito agli altari delle cronache locali, e perfino nazionali, per lo sciopero tenutosi nelle giornate di sabato e domenica, è prontamente rientrato.

Difficile del resto aspettarsi un epilogo diverso. Premesso questo, ci sembra che la vicenda concorra ad avvalorare la bontà di due aspetti sui quali battiamo ormai da qualche mese. Da un lato, vi è infatti l’esigenza di giungere ad una nuova, stabile, e combattiva forma di organizzazione di tutti coloro che quotidianamente sono costretti a vendere la propria forza-lavoro. Dall’altro, vi è invece la correlata necessità di perseguire tale finalità su base territoriale, piuttosto che aziendale. Tuttavia, questi due aspetti non vogliono essere il focus del nostro articolo. Come, parimenti, non ci dedicheremo allo smascheramento del ruolo giocato dalla CGIL nella vertenza. Al contrario, queste poche righe vorrebbero essere un’analisi del nuovo linguaggio padronale. Ci sembra infatti che Francesco Farinetti abbia mostrato buone qualità in questo campo.

Il giovane rampollo della famiglia, nonché amministratore delegato del gruppo Eataly, ha concesso nella mattinata di mercoledì una breve intervista ad un giornalista de il Fatto Quotidiano.

A partire dal look esibito (distinto, ma non elegante; sobrio, ma non sciatto) tutto concorre a fare dei tre brevissimi minuti del video un moderno manifesto di abilità e capacità comunicativa. L’atteggiamento generale mostrato da Francesco Farinetti si situa a metà strada tra l’instabile frenesia di stampo positivista che ama esibire Andrea Della Valle, presidente onorario della squadra viola, e la finzione della presenza-ascolto alla quale segue il presunto diritto-dovere di scegliere, espressione del renzismo dilagante. L’empatia che l’ascoltatore prova nei confronti dell’intervistato è immediata, aiutata peraltro dalla capacità di Farinetti di non presentare se stesso e l’azienda come infallibili, seppur sempre animati da un’incrollabile fede nel lavoro, nel progresso, e nel quotidiano miglioramento. Il primo duplice obiettivo di Farinetti è quello di demistificare quanto detto dai lavoratori licenziati e di limitarne l’autorevolezza politica e personale. Il rischio che corre è ovviamente quello di apparire semplicemente come una delle due parti in causa, con l’aggravante dell’innegabilità dei tre licenziamenti avvenuti. In altri termini, quando alcuni tuoi coetanei sono appena stati maldestramente buttati fuori dall’azienda che dirige esclusivamente per meriti dinastici, appare evidente che la possibilità di attrarsi una buona dose di antipatia sia alta. Al contrario però, l’amministratore delegato schiva abilmente il suddetto pericolo evitando sia la contrapposizione frontale con i lavoratori, sia apparentemente abdicando al desiderio di fornire la propria versione dei fatti, limitandosi invece a quella che appare una semplice ricostruzione di quanto successo per il nobile ed alto fine della verità dei fatti. L’elemento determinante qui è quella straordinaria, orribile, geniale espressione i nostri ragazzi. Vi è tutto qui. In primo luogo, vi è la retrocessione degli uomini e delle donne a ragazzi, garzoni di bottega con qualifica limitata e soggetti per loro natura immaturi, acerbi, dotati di straordinari slanci positivi, ma anche di incomprensibili amnesie ed errori banali. Secondariamente, si nega a questi un’alterità rispetto all’azienda. Nello specifico, questa è la diretta ed esplicita applicazione del pensiero di Oscar Farinetti, il padre dell’intervistato, quando immagina i sindacati come novecentesche creature ormai superate. Inutili perché nel modello neo-corporativo il conflitto non è più tra dipendenti e proprietario all’interno dell’azienda, ma tra imprese che competono nel presunto libero mercato. Questo richiede unità e coesione interna e presuppone un modello paternalistico di attenzione verso i propri dipendenti, fintamente rappresentati come figli adottivi da educare alle ferree leggi della concorrenza globale.

Le capacità comunicative di Francesco Farinetti contagiano anche il giornalista. Questi, non solamente si accoda al linguaggio imposto dal suo intervistato (in uno straordinario ribaltamento dei ruoli) definendo ragazzi i lavoratori dipendenti, ma incentra le proprie domande su elementi secondari, mancando completamente il bersaglio principale, quello attorno al quale ruota l’intera vicenda (al riguardo si potrebbe anche avanzare sospetti di scarsa abilità giornalistica oppure di aperta malafede). Infatti, la prima e semplice domanda sarebbe dovuta essere: per quale ragione sono stati licenziati i tre lavoratori? Questo è infatti il motivo che ha portato alla proclamazione dello sciopero. Ancora più grave, il giornalista non mette in dubbio la bontà di quanto affermato dal rampollo Farinetti, accogliendo, ad esempio, come normale e logica un’ampia variazione di organico in un’attività che, al netto dei picchi dicembrini e natalizi (peraltro comuni alla quasi totalità delle attività commerciali), è certamente a-stagionale e florida in tutti i periodi dell’anno. Molto banalmente chiediamo, cosa dovrebbero fare le circa quaranta persone presenti in organico la vigilia di Natale ma senza lavoro in altri periodi? I bagnini a San Vincenzo durante la stagione estiva?

Detto questo, alla strategia messa in campo da Farinetti, e dalla classe padronale in generale, è comunque possibile reagire attraverso un costante smascheramento delle loro tecniche comunicative ed attivando un’infaticabile opera di decriptazione della realtà. Infatti, se non è certamente possibile impedire al finto interessato rampollo di utilizzare espressioni che sottolineano la sua propensione al dialogo, è sempre lecito riconoscerne l’assoluta strumentalità e falsità; se non possiamo ovviamente zittirlo quando appella i dipendenti come i nostri ragazzi, possiamo rispondere rimarcando i confini che separano un proprietario da un dipendente, s-personalizzando il più possibile la controparte, che ambirebbe invece ad essere chiamata con il nome di battesimo, attraverso l’utilizzo della qualifica professionale: l’amministratore delegato. Questo infatti è ciò che Francesco Farinetti rimane: un grigio figlio-di dedito esclusivamente alla massimizzazione del profitto familiare.

Per la stesura dell’articolo rivolgiamo un ringraziamento speciale a Silvia.

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