La mia domenica è un lunedì. Lettera per un lavoratore delle cucine

Daniele è un ragazzo giovane, ha ancora 22 anni, 23 il prossimo dicembre. Ha lasciato la scuola a 18 anni, per cominciare una vita di lavoro tra hotel, ristoranti, sia in Italia, sia all’estero.

Dopo aver lavorato per tanto tempo, aver fatto la “gavetta” ed imparato il mestiere, tra sudore, fornelli, e scottature, è tornato nella sua Firenze, la città dove è nato. Ha trovato lavoro in un ristorante, per farsi una vita nella sua città.

Peccato però che lì al lavoro le cose non vanno come devono andare: già conosce cosa vuol dire lavorare sotto padrone, ma questa volta è un po’ diverso. “Va bene, ci racconta, mi è capitato di ricevere gli stipendi un po’ in ritardo, con i tempi che corrono…”. Ma in questo ristorante è peggio, perché Daniele, oltre a non essere più nuovo, ha anche un po’ di esperienza. Il padrone lo umilia davanti ad altra gente, gli lancia insulti pesantissimi, conditi da minacce dirette a lui, alla sua ragazza, alla famiglia. Soprattutto, il padrone minaccia di non pagarlo, e questo, per uno costretto a rinunciare a una parte consistente della propria giornata, è come un colpo di pistola, una frustata in volto. Sì perché al lavoro si è fatta dura: si lavorano ore extra, in doppia battuta (dalle 11.00 alle 22.30) senza nemmeno usufruire di due pasti. Per di più, a decidere cosa, mangiare e cosa no ci pensa il padrone: solo la pasta e solo come dico io!

Daniele decide di autotutelarsi e di rivolgersi ai sindacati. Ne trova uno di quelli confederali, che hanno un apparato grosso e possono permettersi si mettere sportelli in ogni dove. Solo che il sindacato non lo aiuta, perché di sindacalisti seri che si sentono parte della propria classe ce ne sono pochi, e lui ha trovato quelli sbagliati, quelli che pensano di offrire un servizio ad un cliente, un servizio che come tutti i servizi in una società capitalistica deve risolversi in fretta e nel più breve tempo possibile: non contempla il conflitto, lo scontro, la lotta, ma solo la mediazione, l’utilizzo di meccanismi legali sicuri e oleati, anche se lenti e macchinosi. Così Daniele viene respinto anche da chi dovrebbe fare i suoi interessi e si ritrova solo. Non si fa scrupoli, se il capo lo insulta risponde a testa alta. Ma Daniele ha un contratto a tempo determinato, il tempo di aver maturato i giorni e viene messo in ferie forzate il 15 settembre, in attesa di venire licenziato, anzi, “non rinnovato”, il 20 ottobre successivo.

Poi un giorno va su internet, e scopre un video in cui si parla di cuochi e camerieri come lui, dipendenti di Eataly Firenze, si sono ribellati al proprio padrone ed alla propria azienda. Lui pensava che da Eataly si lavorasse bene, di sicuro molto meglio che dove si trovava prima. Decide di intervenire. Perché se da un lato comprende le difficoltà e la lotta di questi ragazzi, d’altro lato gli sembra esagerato che lavoratori che stanno un po’ meglio di lui (privilegiati si sente dire oggi), trovino tutto questo spazio sui media, nel sindacato ed una considerazione che lui meriterebbe molto di più. Ha inviato una lettera al nostro indirizzo e-mail (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. ), dentro la quale c’era la rabbia per la propria condizione, ma anche tante di quelle barriere che dividono i lavoratori dai lavoratori, per cui un proletario che sta un po’ meglio diventa un privilegiato, ed uno che sta un po’ peggio un poveretto o uno sfigato. Ci siamo confrontati su queste categorie con Daniele, che ha voluto raccontarci la sua piccola vicenda e ci ha permesso di scrivere la lettera che pubblichiamo (in parte tagliata) di seguito.

Ci piace pensare che la vicenda Eataly, per tanti lavoratori e tante lavoratrici delle cucine come lui, sia stata come un piccolo sasso lanciato nello stagno, che abbia smosso le acque torbide dell’ideologia dominante ed introdotto un dibattito destinato a crescere e a farsi azione, lotta, organizzazione.


Questa risposta, scritta da un nostro compagno che nelle cucine ci lavora, è per tutti loro.


Ciao Daniele,
[…] quello che sto per dirti non cambierebbe di una virgola se fossi un impiegato, un operaio di fabbrica, un semplice studente, ma si dà il caso che anche io, come te, lavori nelle cucine, da circa sei anni per la precisione. Ho fatto di tutto, dallo sguattero allo chef, lavato pile di piatti, con e senza contratto, fatto la battuta e la doppia battuta, preso i soldi in busta, e i tanti fuori busta. Mai visto uno straordinario, una maggiorazione per le innumerevoli ore di lavoro supplementare. Ho servito a pranzo e a cena chi si divertiva e la mia domenica è spesso stata un lunedì.
Spesso, troppo spesso, ho avuto la tua stessa sensazione di impotenza. Nelle cucine purtroppo il padrone te lo ritrovi alla cassa o al tuo fianco ai fornelli, oppure i colleghi sono troppo divisi, pochi e impauriti per controbattere. Mi dicevano “bisogna ringraziare che c’abbiamo il lavoro!”, oppure “lavora, lavora, ruba con gli occhi e diventerai chef!”. A me sembrava solo di rubare a me stesso, di scavarmi dentro con un cucchiaino a tal punto che se mai fossi diventato chef sarei stato un manichino, un simulacro d’uomo.

Però, ecco, a casa mia mi hanno insegnato che agli schiaffi si risponde, sarà che alcuni dei miei parenti erano cattolici un po’ così, per i casi della Storia, e altri invece ad un falso perdono non ci credevano per niente. Sta di fatto che, quando ho iniziato a capire che non ci sono cucine migliori e cucine peggiori, e che di schiaffi ne avevo presi troppi su entrambe le guance, ho provato a reagire. Lo so, non è semplice, soprattutto nella ristorazione, dove si lavora anche 60 ore a settimana, ed i diritti di noi lavoratori sono adagiati talmente in fondo al pozzo che a guardare in alto a stento si percepisce la luce. Ma qualcosa si deve pur fare, mi dicevo! John Reed, che era un giornalista statunitense, inviato a San Pietroburgo durante i giorni della rivoluzione russa, scriveva, nelle sue memorie, di manifesti affissi alle pareti dei ristoranti dagli stessi lavoratori. In alcuni di essi c’era scritto “si rifiutano le mance!” e ancora “Se un uomo deve guadagnarsi da vivere servendo a un tavolo non c’è ragione di insultarlo offrendogli la mancia!”. Dovevo trovare anche io quella dignità, dentro di me, lo sentivo come un dovere.

Ho iniziato a leggere il Contratto Nazionale Turismo e Pubblici Esercizi, le leggi sul lavoro, a parlare con i miei colleghi. Forse non ho ottenuto niente di rivoluzionario, i tempi non lo permettono, ma credo che solo a parlarne e a chiedere con forza, le mie condizioni siano parecchio migliorate. Ho iniziato ad autotutelarmi. A sentirmi una persona e non un robot e a lottare per i miei diritti. Insieme ad altri lavoratori come me abbiamo messo su un collettivo Clash City Workers anche qui a Firenze (siamo anche a Napoli, Milano, Roma, Padova, Trieste, Torino e collaboriamo con diverse realtà ed organizzazioni che si muovono come noi in tutta la penisola, e non solo), per sostenere le lotte di altri lavoratori, rubando tempo al tempo libero, alle domeniche (e ai lunedì) pur di contribuire ad accrescere il nostro potere contrattuale e apportare nuova linfa all’albero della nostra coscienza generale. […]

È stato così che abbiamo conosciuto i lavoratori di Eataly che vedi nel video, si sono rivolti allo sportello legale del sindacato per avviare una vertenza contro un’azienda che non rispettava il CCNL e richiedeva una totale disponibilità alle loro vite. Io credo che il loro ragionamento non sia stato tanto dissimile dal mio: hanno preso il loro coraggio nelle mani per pretendere migliori condizioni di lavoro. Tutte queste cose non le sentirai mai in un servizio giornalistico. Perché vedi, quel video che abbiamo montato lo abbiamo ripreso tale e quale da un programma televisivo di Mediaset, che li aveva intervistati. Ai giornalisti interessa lo scoop, accarezzare la superficie delle cose, ed invece per carpire la profondità di quello che è successo bisogna conoscere tutta la loro storia. Non avrei esitato a raccontartela, ma per mia fortuna le vicissitudini della lotta – una lotta iniziata molto prima che i giornalisti se ne interessassero – mi hanno risparmiato parecchia fatica, perché questi lavoratori hanno fatto da sé, scrivendo un’inchiesta interna al loro posto di lavoro (la trovi qui). Ti consiglio di leggerla, dentro ci sono tanti elementi che riguardano anche te, e me, in prima persona.

Questa storia spiega l’attenzione da essi ricevuta? In parte. Devi sapere che Farinetti ha puntato molto sull’immagine, ha agganci politici molto forti, e per questo te lo ritrovi in edifici storici di immenso valore, nelle prime pagine di tutti i giornali, sia come opinionista, sia come oggetto pubblicitario. Ha sponsorizzato Renzi, e per questo è stato largamente ricompensato. Questa sovraesposizione dell’immagine di Eataly è diventata però una lama a doppio taglio, perché quando qualcuno dall’interno di quella realtà ha avuto qualcosa da ridire, ha trovato una tribuna gremita di fronte a sé. A Samuele ed agli altri non interessa infangare l’immagine dell’azienda in cui lavoravano (ed in cui ancora qualcuno del gruppo di scioperanti lavora): essi vogliono migliori condizioni di lavoro, e sono stati disposti a tutto pur di ottenerle. Ad esempio, raccontare la verità. Grazie al nostro lavoro, infatti, siamo riusciti ad organizzare due giorni di sciopero, presidi, volantinaggi, a dare visibilità alla loro lotta, a metterli in contatto con altri loro colleghi di Eataly. È quello che facciamo con tutti i lavoratori che si rivolgono a noi, né più né meno, come potrai notare dando una scorsa al nostro sito internet. Ma, come ti accennavo, colpire un’azienda come Eataly vuol dire salire su un palcoscenico, ed invece di tirarci indietro abbiamo sfruttato fino in fondo questa particolarità per piegarla ai fini della lotta. La tribuna mediatica, infatti, ci ha dato la possibilità di far arrivare l’inchiesta ai lavoratori degli altri store, di aprire un dibattito, per quanto sempre risucchiato dentro schemi riduttivi, a livello nazionale. Abbiamo dimostrato che dentro Eataly si lavora con contratti illegali, e Farinetti si è talmente spaventato che ha dovuto firmare, il 4 settembre passato, un accordo con la CGIL fiorentina, e sta procedendo a stabilizzare (ma solo in parte, sia chiaro!), i dipendenti degli altri negozi. Un risultato non da poco, ti pare?

Nonostante questa piccola vittoria, a noi quell’accordo continua a non piacere. Perché vedi, a differenza di quanto traspare da quel servizio, la CGIL, te lo posso assicurare, finora ha fatto gli interessi dell’azienda. In una parola, quando Farinetti si è trovato in difficoltà, gli è bastato ricevere due funzionari sindacali per rimettersi in piedi, un po’ ammaccato, e ripartire a spremere i suoi dipendenti. Le stabilizzazioni, nonostante le falsità che in questi giorni l’azienda sta spargendo in giro, copriranno infatti solo il 40% dei dipendenti. Gli altri resteranno precari, con contratti di apprendistato, a termine o interinali. Non mi stupisce il fatto che la CGIL, alla quale pure tu ti sei rivolto, ti abbia “rimbalzato” indietro, è una cosa comune, perché negli anni le dirigenze dei sindacati confederali si sono adagiate nell’andar a braccetto con le aziende, tanto che a volte fanno la spia, fanno gli accordi senza sentire i lavoratori… in una parola, sono dei cani da guardia. Sia chiaro, questo non vale per tutti i sindacalisti, perché c’è ancora chi, prima di considerarsi tale, si sente membro della classe dei lavoratori e considera il sindacato come un sostegno alla lotta, e non come un soggetto che può sostituirsi ad essa.

Qui forse potrei chiudere questa risposta, però c’è dell’altro, e tu ne sei la dimostrazione lampante. Mi sto impegnando tanto nella questione, e lo sai perché? Perché il fatto che la lotta Eataly sia salita su un piedistallo, ne fa un simbolo. Essa sta diventando un simbolo contro lo sfruttamento, un simbolo contro la precarietà, la dimostrazione plateale, se uno sa leggerla correttamente, che lottare per il miglioramento delle proprie condizioni di lavoro è possibile! Renzi fa del modello Eataly un canovaccio per la sua riforma del lavoro? E noi facciamo vedere ai lavoratori italiani cosa li aspetta! Certo, molti, troppi giornalisti, commentatori, lo stesso Farinetti, stanno dipingendo questa lotta come un attacco personale nei sui confronti, mosso da motivi politici di basso grado, come le piccole schermaglie tra centro destra e centro sinistra per chi sarà più bravo a mettercelo in tasca. Ma la realtà è che questa di Eataly è la lotta di un gruppo di lavoratori contro situazioni di lavoro miserevoli, e contro chi tenta quotidianamente di imporcele, che sia un Ministro del lavoro, un padrone, o i suoi lacchè armati di penna. Ed è una lotta che, anche se non si può vedere, sta vincendo già ora. Non ci credi? Ti faccio un esempio. Due colleghe di Samuele, dopo 10 mesi di lavoro, sono giunte a scadenza contratto. Al momento del rinnovo, Eataly ha deciso di rinnovarle, sì, ma con un contratto di apprendistato. Ebbene, se la lotta non ci fosse stata, le ragazze avrebbero abbassato la testa e sarebbero tornate a lavorare con un altro contratto a termine, beffate, perché dopo 10 mesi di lavoro cos’altro avrebbero dovuto “apprendere”? E invece no, la lotta c’è stata, ha avuto risonanza, e le ragazze, sfruttando i rapporti di forza rinnovati, hanno preteso un contratto a tempo indeterminato. L’azienda, per paura di scatenare una reazione, si è adeguata immediatamente, e si è trovata costretta a rispettare il CCNL. Certo, ha dovuto rinunciare a una piccola fetta dei suoi 400 mln di profitti annui. Ma ce ne torna qualcosa in tasca a noi, di quei profitti?

Tu dici di stare peggio. Lo credo, anche io sto peggio, perché ho la sfortuna di lavorare in piccole aziende, dove le condizioni di lavoro sono basse, nessuno, benché meno i sindacati, si occupano di entrarvi, ed i lavoratori sono in troppo pochi per organizzarsi. Ma non credi che trincerarci dietro barriere inconsistenti ci porti solo un grande danno? Se arriviamo a considerare un lavoratore che sta peggio di noi come uno “sfigato”, ed uno che sta meglio come “un privilegiato”, come faremo ad unirci per reclamare i nostri diritti come hanno fatto i ragazzi di Eataly?

Ti voglio dire una cosa. Io mi sto buttando a capofitto nell’aiutare questi ragazzi, passo ore davanti al computer, leggo tutti gli articoli sulla questione, e dedico molto più tempo a loro che ai miei problemi sindacali e lo sai perché? Perché se loro vincono, vinciamo tutti. Se loro vincono avranno – avrò – dimostrato con i fatti, ai miei colleghi e ai tanti come te e come me, che conoscendo i propri diritti ed organizzandosi per reclamarli si può atterrare il più grosso dei Golia, ad esempio una multinazionale come Eataly. Alcune aziende sembrano dei giganti, ma sono giganti dai piedi d’argilla, perché a sostenerli ci siamo irrimediabilmente noi, noi che lavoriamo, noi che produciamo realmente, con le mani ed i nervi, la ricchezza sociale.
[…]
Spero di averti dato un punto di vista su cui riflettere. Scusa per la lunga mail, ma ci sono cose che non possono essere dette con due frasi buttate là. Vieni pure a trovarci in sede: se e quando vorrai passare, ci troverai là.

Con affetto e solidarietà
L. per i Clash City Workers

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