Riapre la Lucchini. Ma a che prezzo?

L'investimento Cevital.
Il 24 aprile scorso è stata emessa quella che sembrava essere l’ultima colata dell’altoforno della Lucchini, prima che l’offerta di Cevital, gruppo algerino guidato da Issad Rebrad, superando la meno vantaggiosa proposta del gruppo indiano JSW, acquistasse il 70% delle azioni.

Inizialmente, Cevital si era impegnata a riutilizzare il totale della forza lavoro della Lucchini (circa 2200 lavoratori), per poi promettere di rimettere al lavoro solo 1860 operai.
Sul porto, Cevital dichiara di voler investire fino ad una soglia massima di 1,5 miliardi di euro nel giro di 5-7 anni. La riassunzione dei 1860 lavoratori seguirà il contratto nazionale dei metalmeccanici salvaguardando qualifiche e livelli, mentre sugli accordi aziendali, la società algerina dichiara di voler ridiscutere istituti come anzianità, cassa mutua integrativa, trattamenti economici su straordinari e notturni, premi di risultato e contributo aziendale al trasporto dei lavoratori. Dunque, è iniziata una trattativa in cui i  sindacati  hanno chiesto di analizzare il piano industriale ed hanno ricevuto dettagli solo sulla fase 1 che durerà fino a fine 2015. Cevital ha chiaramente il coltello dalla parte del manico.

A che prezzo?
Per far ripartire il ciclo di accumulazione, l’obiettivo della nuova gestione aziendale sarà di accedere ad un bacino di lavoro il più economico e flessibile possibile e a questo scopo sarà quindi utile la recente approvazione del Jobs Act (che espone i lavoratori a continuo ricatto). La parziale trasformazione del polo industriale, con l’inserimento di logistica e settore agroalimentare rispecchia invece un incremento del settore terziario che resta comunque al servizio dell'industria. L’esempio del passaggio da Lucchini a Cevital ci dimostra, infatti, come la direzione non sia quella di una progressiva sparizione del lavoro operaio ma di un cambiamento del ruolo operaio nell’industria. I lavoratori dell’ex-Lucchini, a quanto detto dalla nuova gestione, saranno progressivamente riassorbiti in base alle necessità della nuova produzione agroalimentare e logistica (nota).

Venerdì scorso si è aperta la contrattazione sindacale, con l'intenzione di affrontare, da un lato, il problema dei circa 300 lavoratori esclusi dall'accordo, dipendenti della Lucchini che però non saranno immediatamente riassunti. Dall'altro sarà affrontato il più generale problema della sussistenza degli accordi aziendali che risalgono agli anni Settanta, quando l’acciaieria era ancora a partecipazione statale. Il risultato della contrattazione fino ad ora è stato solo una conferma: circa 300 operai a casa e azzeramento quasi totale degli accordi aziendali. Secondo le previsioni della nuova proprietà, alla Lucchini si continuerà a produrre acciaio grazie alla realizzazione di due forni elettrici e di un nuovo laminatoio. S’inizierà inoltre a produrre biodiesel, olio vegetale, mangimi e zucchero e nascerà un polo logistico per l’import-export delle attività del gruppo. Gli attuali addetti alle acciaierie verranno a mano a mano riassorbiti “in base alle esigenze delle strutture” esistenti e il personale restante sarà richiamato via via, con la progressiva realizzazione degli investimenti.

Considerato l’enorme investimento che gli algerini mettono sul piatto, le trattative sindacali non potranno garantire né la tutela di basilari diritti dei lavoratori né, probabilmente, il rispetto del patto aziendale. Il passaggio a Cevital significherà automaticamente un peggioramento delle condizioni lavorative, a favore di un pieno sfruttamento della forza lavoro. Tutto questo è stato facilitato dallo stesso Governo, che offrendo un totale di oltre 200 milioni per la bonifica dell'area, ha permesso che la trattativa andasse in porto. Se poi il prezzo dell'investimento algerino è una drastica riduzione del potere contrattuale e del livello di vita degli operai, ad ogni modo, non saranno le istituzioni a pagarlo.

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(nota) La cosiddetta deindustrializzazione non corrisponde, infatti, a una diminuzione del carico di lavoro o a una sparizione della classe operaia ma a una contrazione numerica dei classici operai d’industria che si ritroveranno inseriti nel solito processo produttivo, ma con funzioni diverse basate su nuove esigenze. Quando si legge della bonifica e trasformazione degli impianti di Piombino con il lancio di nuove produzioni quali biodiesel o mangimi concentrati, sempre d’industria si sta parlando. (torna su)

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