Voucher: il decreto correttivo che non corregge

Riceviamo e ripubblichiamo un utile commento su un aspetto della riforma del lavoro di cui non si è parlato abbastanza: la liberalizzazione dei buoni-lavoro ed in particolare le misure con cui il governo annuncia di voler contrastare l'utilizzo fraudolento dei voucher.

Il boom dei voucher nel 2016 certifica come il Jobs Act non abbia affatto concorso a stabilizzare il lavoro, ma al contrario abbia creato le condizioni per uno scivolamento di tutti i lavoratori verso condizioni di lavoro più precarie, con il voucher che ne rappresenta la massima espressione. Un contratto che non certifica la continuità del rapporto e quindi svincola il datore di lavoro da ogni responsabilità, con la conseguenza che  da un momento all’altro.

Un istituto che nasceva con l'intento, almeno quello dichiarato, di far emergere il lavoro nero, ma che invece è oggi un'utile strumento con cui i padroni pagano sempre meno la loro forza-lavoro. Ce lo conferma anche la ricerca VisitINPS a cura di Bruno Anastasia che indaga l'evoluzione del lavoro accessorio tra il 2008 ed il 2015: l'emersione di lavoro nero è stata minima, il voucher continua ad essere la porta di ingresso nel mondo del lavoro per tantissimi giovani e addirittura ci sono centinaia di migliaia di lavoratori con contratti da dipendenti che usano anche i voucher.

Rimandiamo all’ottimo articolo che segue per tutti i dettagli, ci limitiamo solo ad una considerazione sull’invito finale che pone il referendum indetto dalla CGIL per la prossima primavera come l’unica speranza per abolire l’attuale normativa sui voucher.
Innanzitutto non possiamo certo fidarci di chi, la CGIL, solo pochi mesi fa ha rinunciato alla battaglia quando era veramente possibile fermare il Jobs Act e quindi anche la liberalizzazione dei voucher. Di chi ci aveva raccontato che avrebbe combattuto il Jobs Act sui posti di lavoro ed invece ora si limita ad organizzare un referendum, per altro dall’esito rischioso come ci racconta la storia di questo genere di consultazioni, con il principale intento di riguadagnare un po’ di credibilità agli occhi dei lavoratori.
Su questo punto vogliamo essere chiari: la politica ci impone di lottare su ogni campo che abbiamo a disposizione, quindi se il referendum ci permetterà di rimettere al centro la questione lavoro, ripristinare le tutele precedenti al Jobs Act e limitare il ricorso ai voucher, non dovremo certo sprecare questa opportunità. Ma dobbiamo essere consapevoli che anche un’eventuale vittoria non sarà sufficiente, che dobbiamo fin da subito mettere in campo dei meccanismi di controllo popolare dal basso che sanzionino chi fa ricorso indebito ai voucher, che dobbiamo, come in alcuni Comuni si sta già facendo, obbligare la pubblica amministrazione a non affidare appalti a società che fanno ricorso ai voucher (i cosiddetti “Comuni voucher-free”). Solo se il referendum sarà un passaggio di questa lotta diffusa e generale allora potremo vincerlo e segnare davvero un punto contro questo governo.

 

Alla notizia che il Governo ha varato un decreto che prevede una cosiddetta “stretta” sui voucher (i buoni lavoro liberamente acquistabili anche presso le rivendite di tabacchi), viene da chiedersi se in questo paese la propaganda non abbia definitivamente soppiantato la ragionevolezza. I voucher, lo ricordiamo, sono buoni lavoro del valore nominale di dieci euro mediante i quali, sulla carta, è possibile retribuire prestazioni di lavoro “accessorio”. Ufficialmente nati con l'intento di regolarizzare diffuse forme di lavoro sommerso, specie in agricoltura (anche se, come ben sa chi conosce la teoria “neoclassica” del mercato del lavoro, qualunque forma di lavoro precario serve in realtà a dare una spinta verso il basso alle retribuzioni), i voucher sono via via diventati, grazie alle norme che ne hanno permesso il loro utilizzo in quasi tutti i settori, la prevalente forma di ingaggio lavorativo alternativa al normale contratto.

Nel solo 2015 ne sono stati venduti 115 milioni, ed hanno interessato il 10% del lavoro dipendente. E i dati registrano, nel 2016, un costante incremento. Ne fanno uso, addirittura, enti pubblici come i Comuni. Ci sono addirittura amministratori comunali che cercano di instillare nell'opinione pubblica l'idea che, con l’attivazione di questo strumento, renderebbero un commendevole atto di solidarietà a persone costrette, in mancanza d'altro, ad accettare un lavoro da svolgere sotto questa forma “contrattuale”.
A dipetto degli intenti di facciata, l'entità del lavoro sommerso non è stata minimamente scalfita. Il perchè è intuitivo: è sufficiente conservare nel cassetto un buono, della validità di un'ora, da esibire in caso di controllo e continuare, come prima, a far svolgere prestazioni anche per l'intera giornata.

Ecco allora agevolmente svelato il vero intento dello strumento alternativo: modico versamento di contributi previdenziali e assistenziali, niente ferie né malattia retribuite, niente permessi, niente diritto alla maternità e nessun diritto a sussidi di disoccupazione. In sintesi, liberalizzazione del più bieco istinto predatorio. Perchè pagare 15 se è possibile pagare 10? La prova? Il ricorso all'impiego dei buoni per il lavoro accessorio anche in settori come l'industria, il che fa cadere anche qualunque giustificazione che potrebbe vedere nella mitizzata flessibilità, già ampiamente possibile in svariate altre forme, la ragione per l'acquisto dei voucher.
Ora, con il provvedimento summenzionato, il Governo si fa vanto di avere introdotto la cosiddetta tracciabilità dei buoni lavoro, ovvero la comunicazione obbligatoria della prestazione all'Ispettorato del Lavoro, via messaggio su telefono cellulare o posta elettronica, almeno un'ora prima dell'inizio dell'attività lavorativa. Ma cosa ha a che fare, questo, con i prima richiamati veri problemi della questione? Indovinato: nulla.

Prima di tutto perchè se si volesse seriamente organizzare un sistema di controlli finalizzato al contrasto del lavoro nero bisognerebbe investire nuove risorse nel potenziamento degli organici in forza agli Ispettorati, e poi, pare credibile che pochi controllori possano correre dietro a migliaia di sms, con i quali si potrà magari dichiarare fraudolentemente prestazioni di una sola ora? Sarebbe stato inoltre opportuno prevedere, nel caso qualche controllo dovesse andare a segno, uno specifico e particolarmente severo sistema di sanzioni, aspetto che nel nuovo decreto non viene nemmeno sfiorato

Il problema centrale non è comunque l'abuso dello strumento. E' lo strumento stesso, con tutte le sue caratteristiche.
Ecco perchè se si volesse veramente contrastare l'abuso nell'utilizzo dei voucher, l'unico atto adottabile veramente efficace sarebbe l'abolizione di questo obbrobrio.
Ma è evidente che non è possibile, in proposito, riporre alcuna aspettativa su un Governo il quale, con questo provvedimento di facciata, dimostra ancora una volta il proprio indirizzo culturale e identifica gli interessi che vuole privilegiare. Non resta che sperare nel referendum abrogativo dell’attuale legislazione sui voucher promosso dalla CGIL. Un successo in tale occasione sarebbe anche un segnale di democrazia.


Sergio Farris

Rete Camere Popolari del Lavoro