Sulla giornata di ieri, per le giornate di domani. Un commento sul 12 aprile

Vale la pena ricordarlo perché con la solita cattiva informazione dei media – che quando proprio non riescono a far “sparire” i momenti di piazza come quello di ieri li relegano a una posizione assolutamente marginale nel dibattito pubblico, isolati e criminalizzati fino a neutralizzarne i contenuti e l’efficacia politica – c'è il rischio di perdersi la notizia. Sabato a Roma circa 20.000 persone sono scese in piazza, nella prima giornata di mobilitazione contro il governo Renzi.

Una piazza riempita  con generosità e determinazione da immigrati, occupanti di casa, lavoratori, studenti, ma anche da collettivi e realtà politiche diverse, dai tanti compagni che ogni giorno portano avanti lotte in tutta Italia. Un pezzo importante di proletariato metropolitano che subisce in prima persona gli attacchi che vengono sferrati da governi e padroni di turno – e il Piano Casa e il Jobs Act sono solo gli ultimi in ordine di tempo... – e che da sempre prova a opporsi e a costruire un’alternativa radicale alla miseria in cui ci costringono a vivere.
Una piazza, insomma, che ha provato a mettere al centro le esigenze e le necessità di chi non vuole morire di sfruttamento, di precarietà o di disoccupazione, e rivendica il sacrosanto diritto a una casa, a un salario decente, una sanità pubblica, a servizi sociali accessibili a tutti.

Era un corteo difficile, lo sapevamo da prima, dai giorni precedenti in cui ci siamo messi a lavoro per provare a costruire e allargare la partecipazione a questa giornata, per far crescere l'attenzione su quello che avrebbe potuto esprimere questa piazza.
Un corteo difficile in parte per limiti oggettivi, che vanno al di là di noi stessi, delle nostre capacità o debolezze, limiti posti dalla stessa fase politica che attraversiamo: tanto malessere e rabbia che covano sotterranei, incapaci di esprimersi fuori dalla rassegnazione, dall'egoismo o al di là della speranza nell'attesa di un salvatore qualsiasi. E, soprattutto, incapaci di essere trasformati in elementi di coscienza condivisa su cui costruire una progettualità organizzata, conflittuale e radicalmente opposta all'attuale stato di cose.

Così – non dobbiamo nascondercelo – non esiste ancora una sensibilità comune contro il Governo Renzi e purtroppo neppure contro l'Unione Europea come costruzione politica antiproletaria e orizzonte dentro cui l'azione del governo si inserisce e si sviluppa. Questo perché – nonostante le lotte quotidiane, le battaglie che si portano avanti e le piccole vittorie che pure si riescono a strappare – i nostri continuano a subire un'offensiva padronale tout court, materiale e ideologica, a cui la borghesia ha impresso un'accelerazione senza precedenti negli ultimi tempi, dotandosi del volto giovane e accattivante di Renzi per uscire dall'impasse della crisi, per rendersi “competitivi” e “moderni” il più velocemente possibile, costi quello che costi. Parlando, come abbiamo fatto in questi giorni con studenti, disoccupati, lavoratori più o meno precari, la sensazione è che siano ancora tutti in una fase di attesa per capire che farà questo Governo, attendendosi magari nel giro di qualche mese di vedere qualche risultato…

A questo scenario, già di per sé non idilliaco, si sono sommate le nostre debolezze come movimento, limiti di carattere soggettivo e su cui non ci vogliamo dilungare troppo. Di certo, è evidente che ha pesato l'incapacità di allargare e includere nella costruzione della piazza di ieri tutto ciò che di oppositivo si muove, adagiandosi forse sulla “rendita” lasciata dalle giornate del 18 e del 19 ottobre scorsi e impedendo alla mobilitazione di crescere quanto, pur in questo contesto difficile, avrebbe potuto. Ne è uscito così un corteo nazionale ridotto nei numeri, essenzialmente “romano”, con tante – probabilmente troppe e a tratti confuse – parole d'ordine, di fatto incentrato solo sulla questione della casa.

Eppure abbiamo provato a starci, non per semplice “testimonianza” ma perché abbiamo ritenuto quella piazza un'opportunità da cogliere per dire la nostra su quello che il Governo Renzi ha già fatto e su quello che farà, sugli effetti che questo avrà sulla vita della maggior parte delle persone che vedranno peggiorare da subito le loro condizioni di vita e lavoro con l'ulteriore precarizzazione dei contratti, la spinta e il livellamento dei salari al ribasso, l'attacco ad ogni tipo di tutela pur di aumentare la “flessibilità” in entrata e – a breve – quella in uscita...

Per questo eravamo davvero in tanti dietro lo spezzone "Uniti e inflessibili contro il Jobs Act": centinaia di  studenti, precari, disoccupati e lavoratori – fra tutti quelli di Aci Informatica, ma anche molti insoddisfatti e scontenti dei sindacati confederali). Vicini, materialmente e idealmente, ai braccianti e ai facchini della logistica del Si Cobas che hanno portato in piazza la loro energia, la loro esperienza di lotta. Uno spezzone rumoroso e determinato, che insieme a tante altre compagne e compagni ha saputo tenere di fronte alla brutalità delle forze dell'ordine a piazza Barberini, quando la polizia si è lanciata in una folle carica scendendo da Via Veneto, e i carabinieri hanno picchiato pesantemente il fondo del corteo.
Nonostante questo, la violenza della risposta delle forze dell'ordine ha prodotto decine e decine di manifestanti feriti, fermi e denunce. La situazione confusa creata dalle cariche della polizia ha fatto anche sì che un ambulante peruviano di 47 anni abbia perso una mano. Un episodio per noi sconvolgente, rarissimo per fortuna, ma che merita tutti i nostri pensieri, la nostra vicinanza umana, anche perché quest’uomo con le mani ci lavora, e dobbiamo immedesimarci nella sua situazione  ancora di più di come lo avremmo fatto per qualsiasi ragazzo ferito gravemente in una situazione di piazza… Anche perché, come concordano numerose testimonianze, i soccorsi sono arrivati in ritardo, rallentati dalle operazioni della polizia, e il suo stesso nipote non è stato minimamente sostenuto mentre cercava di aiutare lo zio.

I compagni arrestati invece sono cinque, già immediatamente bollati come gli “irreversibili antagonisti”, i “soliti violenti”, e potremmo andare avanti all'infinito... Si tratta invece di ragazzi come Ugo, studente universitario di Napoli da sempre presente nelle lotte di questa città, da quelle per l’istruzione pubblica a quelle per il diritto all'abitare. A Ugo e agli altri compagni va tutto il nostro supporto e la nostra solidarietà, l'impegno a tirarli fuori da lì il prima possibile e a dimostrare in maniera decisa e forte alla controparte che ci vorrebbe affossati e incapaci di reagire ai suoi attacchi che non esistono manganelli, non esistono lacrimogeni e fermi che tengano davanti alle nostre ragioni e alla voglia di cambiare l'esistente.

In ogni caso, se ci siamo presi un attimo per riflettere su ieri è per meglio costruire le giornate di domani. E non ci riferiamo solo alle prossime date o scadenze di movimento, ma proprio ai prossimi giorni, per costruire un percorso collettivo che si allarghi e migliori sempre di più di qui ai prossimi mesi. Domani, come ieri, saremo di nuovo nelle facoltà e nelle scuole, sui territori, sui posti di lavoro a raccontare questa giornata e a guardare oltre, mettendo su dal basso delle nostre esperienze una risposta concreta e organizzata in cui possano riconoscersi gli sfruttati e gli oppressi di questo paese, un'opposizione al Governo Renzi, all’Unione Europea quantomeno all'altezza dell'attacco che ci viene sferrato. Continuando il lavoro quotidiano e di massa, ovunque si manifesti la contraddizione tra capitale e lavoro.

Uniti e inflessibili contro il Jobs Act

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