[Egitto] Che fine hanno fatto le promesse del governo Morsi ai lavoratori?

Le piazze d’Egitto tornano a riempirsi di centinaia di migliaia di facce. Donne e uomini, giovani e vecchi si sono riuniti in occasione del primo anniversario della presidenza di Mohamed Morsi per chiedere le dimissioni del presidente.

Più di 200.000 solo a piazza Tahrir, simbolo di quella rivoluzione egiziana capace solo due anni e mezzo fa di deporre un altro presidente, quel Mubarak che era ormai al potere da trent’anni. Era il 25 gennaio 2011. Ma le strade non si sono riempite solo nella capitale: ad Alessandria, ad esempio, in 100.000 hanno protestato; ancora, in decine di migliaia hanno preso possesso delle vie pubbliche di Mahalla, vero cuore produttivo dell’Egitto.

A chiedere le dimissioni di Morsi non è un fronte omogeneo. C’è chiunque. Nelle rappresentazioni di casa nostra si tende però spesso a dimenticare l’apporto che il movimento dei lavoratori organizzato ha dato prima alla caduta di Mubarak e oggi alle manifestazioni contro il suo successore. Da tempo cerchiamo, nel nostro piccolo, di seguire questo movimento, le sue lotte, le sue evoluzioni organizzative, dando risalto alle piattaforme rivendicative, tentando di scorgere qualcosa che vada al di là della semplice fotografia del momento.

Nel documento che abbiamo tradotto e che pubblichiamo di seguito sono ad esempio contenute le principali rivendicazioni che il movimento dei lavoratori va ponendo da tre anni a questa parte e che, come è sottolineato nello stesso documento, non si limitano ad essere “rivendicazioni materiali immediate” né puntano solo ad un “miglioramento delle loro condizioni di vita, ma abbracciano rivendicazioni di carattere generale e politico”.

Perché dall’insediamento di Morsi non ci sono state novità positive per i lavoratori d’Egitto. Le riforme promesse non sono mai state attuate, l’agibilità sindacale è una chimera, la repressione si abbatte su chi lotta, sia sotto la forma del poliziotto che sotto quella di leggi che criminalizzano le lotte e in particolare lo sciopero (in galera ci sono compagni accusati di “incitamento allo sciopero”).

“I lavoratori d’Egitto sono la forza organizzata e produttrice di questo paese. […] Possono costituire la locomotiva della rivoluzione che destituirà i Fratelli Musulmani, il loro governo, i loro ministri e i loro governatori delle province, con l’obiettivo di realizzare le rivendicazioni della rivoluzione e i suoi slogan che chiedevano pane, libertà e giustizia sociale.”
Ecco, a due anni e mezzo dalla deposizione del “Faraone” Mubarak, i lavoratori lottano ancora perché le rivendicazioni della rivoluzione non rimangano lettera morta.


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Comunicato congiunto: “Insieme butteremo giù il regime”

Traduzione a cura di Clash City Workers
Tratto da Mena Solidarity Network


La rivoluzione ha risvegliato lo spirito di lotta del popolo egiziano, coronando l’escalation di sit-in e scioperi dei lavoratori che sono andati crescendo dal 2006 – una mobilitazione guidata ed organizzata dagli stessi lavoratori oppressi. Le lotte dei lavoratori hanno giocato un ruolo centrale negli ultimi tre giorni dell’occupazione da parte di milioni di persone di Piazza Tahrir, costringendo il dittatore Mubarak a dimettersi, visto che il movimento di protesta dei lavoratori si diffondeva in gran parte del paese e con la sua radicalizzazione terrorizzava i governanti. Scelsero di sacrificare Mubarak, piuttosto che assistere alla caduta di tutto il regime.
Eppure, dopo pochi mesi la situazione dei lavoratori era proprio come prima o addirittura in via di peggioramento. Da allora abbiamo assistito ad ondate di proteste dei lavoratori, che non si limitavano alla coscienza delle loro rivendicazioni materiali immediate e alla battaglia per il miglioramento delle loro condizioni di vita, ma abbracciavano rivendicazioni di carattere generale e politico. La principale era quella di liberarsi dei padroni corrotti e di sottoporre a giudizio i responsabili della corruzione finanziaria ed amministrativa, così come i responsabili dell’ingiustizia che i lavoratori soffrivano in ogni aspetto delle loro vite, a dimostrazione della crescita della coscienza politica dei lavoratori stessi.
Oggi viviamo nel terzo anno della rivoluzione, ma stiamo raccogliendo ancora i frutti amari della dittatura sotto il governo dell’attuale regime, che ha riportato l’Egitto nella lista nera dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) dei paesi con le peggiori statistiche in merito ai diritti dei lavoratori.
Ora, alla vigilia di una nuova ondata della rivoluzione del nostro popolo, ricordiamo al mondo le rivendicazioni dei lavoratori egiziani all’indomani della rivoluzione, chiedendo:
•    Dov’è la nuova legge sui sindacati, la cosiddetta legge sulle libertà sindacali? Perché non è stata promulgata benché sia stata oggetto di discussione per più di due anni?
•    Perché la macchina della repressione viene usata sempre più contro le proteste dei lavoratori, fino al punto che lo sciopero presso la Portland Cement ad Alessandria è stato piegato dall’uso della polizia con cani?
•    Perché si stanno licenziando i lavoratori perché colpevoli di esercitare i propri diritti alla protesta ed allo sciopero, ed alcuni lavoratori stanno addirittura affrontando condanne in carcere con l’accusa del cosiddetto “incitamento allo sciopero”?
•    Perché ci sono migliaia di lavoratori disoccupati a causa della chiusura delle loro fabbriche o della fine dei loro contratti a termine? Perché lo stato è rimasto in silenzio mentre quasi 4000 fabbriche hanno chiuso, senza nemmeno porre domande ai proprietari e senza proteggere i diritti dei lavoratori?
•    Cos’è che impedisce l’attuazione delle leggi che migliorano le condizioni dei lavoratori, come la legge sul salario minimo e massimo, la nuova legge sul lavoro? Al contrario, sono state promulgate leggi contro gli interessi dei lavoratori, come quella sulla criminalizzazione dello sciopero, o leggi che chiedono tasse ai poveri e non toccano invece i ricchi e gli investitori. Bisogna additare l’attuale governo come colpevole e quelli precedenti, sia prima che dopo la rivoluzione, visto che hanno lavorato contro gli interessi dei lavoratori e in favore di quelli di una minoranza di investitori, di ricchi e grandi imprenditori. Questa gente non ha altro interesse se non quello di far crescere i suoi profitti succhiando sangue e sudore dai lavoratori e dai poveri.

E quindi che fare ora che una nuova ondata della rivoluzione è sul punto di scoppiare, il 30 giugno? Non c’è dubbio che la risposta per noi è andare nelle strade con i nostri compagni egiziani, raggiungendo i milioni che hanno firmato la petizione che ritirava la fiducia al presidente Mohamed Morsi. Quelli di noi che sono al lavoro nelle nostre fabbriche dovrebbero scioperare, fermando l’ingranaggio della produzione che porta profitto ai nostri padroni e niente a noi.
Quello che sta accadendo oggi porta alla mente i giorni che hanno preceduto la caduta di Mubarak: gli scioperi dei lavoratori scoppiano ovunque, le proteste contro la designazione di nuovi governatori riempiono le strade nelle province e la nostra situazione va di male in peggio con frequenti interruzioni di corrente e carenza di carburante. E quindi che stiamo aspettando?
I lavoratori d’Egitto sono la forza organizzata e produttrice di questo paese. Solo loro sono capaci di cambiare l’equilibrio di potere il 30 giugno e oltre. Possono costituire la locomotiva della rivoluzione che destituirà i Fratelli Musulmani, il loro governo, i loro ministri e i loro governatori delle province, con l’obiettivo di realizzare le rivendicazioni della rivoluzione e i suoi slogan che chiedevano pane, libertà e giustizia sociale. Non possiamo lasciare il campo libero ad altre forze permettendo che rubino la nostra rivoluzione e la nostra campagna per il cambiamento, dal momento che né la rivoluzione né il popolo trionferanno se non esprimiamo le nostre preoccupazioni ed aspirazioni.

Egyptian Federation of Independent Trade Unions, the Permanent Congress of Workers in Alexandria, the Revolutionary Socialists, Rebel Movement, the Egyptian Centre for Social and Economic Rights