Il Portogallo si autoconvoca. Un commento alla grande assemblea del 5 ottobre a Lisbona

di Carmine Cassino

Il Portogallo si autoconvoca. Un commento alla grande assemblea del 5 ottobre a Lisbona

Da qualche mese il Portogallo è in fibrillazione: le misure di austerity decise dall’Unione Europea, applicate impietosamente dal governo di centrodestra, stanno suscitando una risposta di massa. Il 15 settembre ci sono state diverse manifestazioni autoconvocate in tutto il paese: quasi un milione le persone complessivamente in piazza, un portoghese ogni dieci. Due settimane dopo una grande manifestazione nazionale dei sindacati ha raccolto nella capitale oltre centomila persone: dal palco è stato chiamato uno sciopero generale per il 5 novembre.

In linea con questi percorsi, venerdì 5 ottobre si è tenuta a Lisbona una grande assemblea di studenti, militanti, lavoratori, cittadini portoghesi. Oltre duemila i partecipanti, diverse le sessioni di discussione, fortissima la volontà di pensare un’alternativa allo stato di cose presenti. Ma, affianco a queste luci, anche tante ombre: dall’egemonia delle dirigenze riformiste del Bloco de Esquerda (il Blocco di Sinistra, una specie di Sinistra e Libertà in salsa lusitana) all’assenza del Partito Comunista Portoghese che, pur rappresentando una buona fetta di proletariato, continua nella sua linea settaria e quasi “testimoniale”...

Come al solito, pensiamo sia interessante seguire e analizzare quello che succede negli altri paesi, soprattutto in quelli dell’Europa Meridionale, che si trovano in questo momento ad affrontare situazioni molto simili. Per questo vi proponiamo un report/commento di Carmine, un compagno che vive da tempo in Portogallo e conosce bene le dinamiche economiche e politiche del paese.

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“Denunciare” il Memorando; sviluppare l’economia per ridurre l’indipendenza esterna, valorizzando il lavoro e salvaguardando l’ambiente; difendere lo Stato Sociale e ridurre le diseguaglianze; costruire la democrazia piena, partecipata e trasparente; dar voce al Portogallo in Europa e nel Mondo. Sulla base di questi principi che sembrano esser stati partoriti da un redivivo Comitato di Salute Pubblica, nella giornata simbolica del 5 ottobre – in Portogallo è infatti giorno della commemorazione della proclamazione della Repubblica, avvenuta nel 1910 – il movimento popolare che ha dato vita alle mobilitazioni di piazza degli ultimi mesi si è dato appuntamento nell’aula magna dell’università di Lisbona per realizzare il primo “Congresso Democráticos das Alternativas”, in compagnia di ampi settori della sinistra portoghese, ad esclusione del Partito Comunista.

Di cosa si tratta? Fondamentalmente, di un momento di passaggio e maturazione di un movimento che, seppur lentamente (verrebbe da dire in pieno spirito lusitano) e con irrisolti strascichi di moderatismo, da circa un anno e mezzo ha provato a destare la sonnolenta società portoghese dal letargo profondo in cui è stata condotta non solo dalle terrificanti politiche di massacro economico e sociale imposte dalla famigerata “Troika”, ma anche dall’assoluta incapacità e inerzia della sinistra parlamentare nel costruire una seppur minima piattaforma di mobilitazione.

Infatti, se per mesi i dirigenti di FMI-BCE-CE hanno avuto l’opportunità di girare indisturbati per il paese terrorizzando la popolazione con i dazi da pagare in cambio delle varie tranches di aiuti economici “utili al recupero finanziario del paese” (in puro stile ellenico), è perché hanno potuto contare sul sostegno politico prima del governo socialista di José Socrates e poi (dal giugno del 2011) su quello della coalizione di centro-destra (PSD e CDS/PP) guidata da Pedro Passos Coelho.

Un anno e mezzo in cui la situazione economica e finanziaria del paese, lungi dal recuperare, è precipitata fino ad una condizione di aggravamento tale da trascinare l’intero sistema paese (pubblico e privato) nel vortice ricattatorio della speculazione, e nella morsa soffocante delle politiche imposte dalla Troika, che è riuscita fin qui ad ottenere misure di aumento della pressione fiscale e smantellamento di servizi pubblici sempre maggiori e direttamente proporzionali al peggioramento dei conti del Paese e della situazione sociale.

Fatto sta che oggi il Portogallo, paese di per sè già periferico e a scarsa vocazione industriale, ha la terza percentuale europea di disoccupazione (15,7%, dopo Grecia e Spagna), una caduta del PIL a fine 2012 stimata al - 3% e il tasso d’inflazione al 2,6% (dati del Banco de Portugal). Il governo prospetta tagli per cinque miliardi di euro nel 2013 per arrivare ad una percentuale del deficit pari a circa il 4,5% ; e, dopo essere stato costretto dalla pressione popolare (e non solo) a ritirare la proposta di taglio dei contributi previdenziali a carico delle imprese (per riversarli sui lavoratori), ha provato a raccattare nuove misure presentando nuove ed aumentando vecchie tassazioni, quali l’IRS (l’italiana IRPEF) e l’IMI, il corrispettivo portoghese della famigerata IMU (per un approfondimento del caso portoghese, si rimanda alle attente analisi di Goffredo Adinolfi su www.goffredoanidolfi.net).

Di fronte a questa situazione sconcertante, la società civile portoghese sta provando ad organizzarsi. Lo fa, comunque, offrendo ai malconci partiti di sinistra un’opportunità di dialogo, intervento e collaborazione (ad esempio molti giovani quadri del Bloco de Esquerda sono nella commissione organizzativa, nonostante queste iniziative di autoconvocazione, quale anche la grandissima manifestazione del 15 settembre rappresentino la manifesta trombatura del ruolo rappresentativo proprio di quei soggetti politici), dando vita ad una piattaforma che dovrebbe fungere da terreno di conciliazione delle tre anime dell’opposizione parlamentare (Partito Socialista, Partito Comunista e Bloco de Esquerda). E lo fa a pochi giorni dalla notevole manifestazione di piazza della rediviva CGTP (l’organizzazione sindacale maggioritaria, all’interno della quale forte è il ruolo del PCP), capace di portare in piazza centinaia di migliaia di persone. Perché, sostanzialmente, quello che il fronte di opposizione politica e sociale alle sperimentazioni ultraliberiste della Troika sta chiedendo da tempo è unità a sinistra: per un governo di alternativa che possa porre fine alla svendita del paese, recuperando dignità e autonomia in campo internazionale e provando a riaggiustare i conti senza passare per l’usuale carneficina con la quale il FMI, come è risaputo, ha ridotto sul lastrico vari paesi, in nome del recupero di quella chimera che porta il nome di “competitività”.

Ma anche questa partecipata assemblea – più di duemila persone, con i lavori organizzati in varie commissioni e possibilità di voto sui documenti deliberativi alla fine delle rispettive sessioni – ha palesato le difficoltà che il movimento portoghese sta affrontando, e il ritardo organizzativo con cui si è mosso per fronteggiare le misure del governo. Sembra infatti mancare una strategia efficace e condivisa, tanto che la risoluzione finale non rigetta l’accordo di aggiustamento del debito (il cosiddetto Memorando) stipulato tra i governi portoghesi e la Troika, bensì ne chiede la “rinegoziazione”. Dunque si è disposti a pagare, a patto che lo si faccia con maggiore umanità, e con maggiore giustizia sociale, facendo propria la proposta di “finanziaria per ricchi” presentata dalla CTGP.

È questo l’indice forse più evidente del moderatismo e della gravosa influenza riformista che grava sulle istanze del movimento: d’altronde è il prezzo da pagare se si è convinti di poter recuperare al fronte antiliberista anche un partito come il PS, che non soltanto ha aperto le porte del paese al vampirismo delle istituzioni politiche e finanziare internazionali, ma appena una settimana fa si è astenuto sulle mozioni di sfiducia contro il governo presentate separatamente ma votate unanimemente da PCP e BE, in un’inedita convergenza parlamentare che mancava ormai da tempo.

Il problema è che riunirsi o manifestare anche in tantissimi di certo non basta più: così come non è più sufficiente l’azione parlamentare puramente retorica di una sinistra che prova a recuperare la distanza data da un profondo distacco con la società reale. Il riscatto del Portogallo passa sì da un tentativo di autorganizzazione e proposta strategica che sappia costringere i soggetti politici a trovare unità d’intenti, ma necessita di maggiore forza, continuità e determinazione, perlomeno in maniera direttamente proporzionale a quelle degli agenti che, in nome del capitale, stanno depredando un intero popolo.