Guerra al conflitto. No all'accordo sulla rappresentanza

Guerra preventiva al conflitto. No all'accordo sulla rappresentanza del 31 maggio


Di seguito una serie di materiali messi a disposizione per fare informazione sui posti di lavoro intorno all'infame accordo sulla rappresentanza del 31 Maggio 2013.

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analisi accordo sulla rappresentanza del 31M

151° puntata di Corrispondenze Operaie

Puntata speciale di analisi sull'Accordo sulla rappresentanza sindacale del 10 gennaio 2014. Collegamenti con Carlo Guglielmi, giuslavorista del Forum Diritti del Lavoro, un'operaia delegata Fiom di Electrolux (stabilimento di Susegana, Treviso) e con Marco, lavoratore di Aci Informatica per analizzare aspetti tecnici e politici dell'Accordo.

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L’accordo sulla rappresentanza sindacale, firmato lo scorso 31 maggio da Confindustria e CGIL-CISL-UIL, è stato definito un accordo “storico”, una “svolta”, un “avvenimento di prima grandezza per il Paese”. Può essere l’inizio di “una nuova era”, si è affrettato a dire Bonanni, segretario generale della CISL, facendo eco alla “stagione nuova” auspicata dalla pari grado della CGIL.
Ma perché tutta quest’enfasi? La solita retorica ed i soliti titoli ad effetto dei quotidiani, oppure c’è qualcosa di più? Vai mai a vedere che ci dobbiamo accodare al “Bravi, bravi, davvero bravi” del presidente del Consiglio, Enrico Letta?


Cerchiamo innanzitutto di capire perché a questo protocollo venga accordata tutta quest’importanza. Confindustria non le manda certo a dire; per bocca del suo vicepresidente per le relazioni industriali, Stefano Dolcetta, si esprime con chiarezza cristallina: “l’obiettivo a cui tendere è la prevenzione del conflitto”.

Esclusione dalla rappresentanza e stretta corporativa

“Prevenire è meglio che curare” per cui il primo obiettivo a cui tendere è l'esclusione dalla rappresentanza e dai diritti sindacali ad essa connessi di quei soggetti che potrebbero farne un uso indesiderato. Parliamo in primo luogo dei sindacati di base: l'accordo prevede infatti l'esclusione a priori di qualsiasi soggetto non firmatario dell'accordo dalla contrattazione nazionale oltre che un meccanismo di calcolo della rappresentatività che penalizza chi, come i sindacati conflittuali, non è firmatario di contratto nazionale.

La nuova disciplina sulle RSU concede inoltre la possibilità di indire nuove elezioni per il rinnovo delle rappresentanze unitarie alle sole organizzazioni firmatarie dell'accordo, e solo congiuntamente. Il monopolio di iniziativa elettorale, in mano ovviamente alle sole CGIL-CISL-UIL, non ha un mero valore procedurale: non sono pochi i luoghi di lavoro in cui rimangono in carica RSU già “scadute”, che una nuova elezione da parte dei lavoratori rimetterebbe seriamente in discussione.

Questo non vuol dire solo che la libertà sindacale sarà esercitabile esclusivamente entro le mura del sindacalismo confederale. La nuova disciplina delle RSU infatti prevede la decadenza dalla carica di delegato di chi, una volta eletto, dovesse per qualsiasi motivo cambiare organizzazione di appartenenza e l'assegnazione delle funzioni al primo dei non eletti della stessa lista sindacale. Cancellate con un colpo di spugna la libertà individuale e il diritto al dissenso, le nuove RSU sarebbero rappresentanti non dei lavoratori bensì dei sindacati, e saranno pronte ad impegnarsi a giurare fedeltà alla propria organizzazione di provenienza.

Giura che non scioperi. Lo giuro!

Con l'allontanamento dalla rappresentanza dei delegati conflittuali si da il colpo di grazia allo spirito partecipativo che aveva caratterizzato le lotte del 1969: i Consigli di Fabbrica, eletti da tutti i lavoratori e formalmente indipendenti dalle organizzazioni sindacali “maggiormente rappresentative” hanno lentamente lasciato il passo a rappresentanze de iure o de facto legate alle organizzazioni confederali ed espressione inequivocabile della linea sindacale e politica scelta da queste organizzazioni.

Inesorabilmente - tanto grazie ai padroni quanto grazie al sindacalismo “maggiormente rappresentativo” - sono stati distrutti quegli istituti di democrazia diretta che consentivano l'organizzazione dei lavoratori in azienda, e che rivendichiamo ancora come figli della storia del movimento operaio, della nostra storia: il delegato, sempre revocabile e referente di un “gruppo omogeneo” di lavoratori, le elezioni su scheda bianca, e quindi la possibilità per tutti di essere votanti ed al contempo eleggibili, la partecipazione dei lavoratori alle trattative e l'assemblea come momento importante di decisione, la continuazione degli scioperi e della discussione anche durante le trattative, comportamento simbolo dell'autonomia della nostra classe, che purtroppo stenta a riaffiorare.

Oggi, con questo accordo, si vuole imporre una mission politica: migliorare il grado di attrattività dell'Italia in modo da catalizzare investimenti. Non basta dunque escludere dalla rappresentanza gli indesiderati, bisogna circoscrivere in un ambito rassicurante le possibilità stesse della contrattazione, non a caso il protocollo del 31 maggio dà ampio rilievo alla “esigibilità” dell’accordo; i firmatari, cioè, “si impegnano a dare piena applicazione e a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi […] sottoscritti formalmente dalle Organizzazioni sindacali (OO. SS.) che rappresentino almeno il 50% + 1 della rappresentanza”. Insieme all'accordo del 28 giugno 2011, che consente di derogare in peggio al CCNL di categoria in sede di contrattazione aziendale, questa nuova intesa obbliga all'accettazione passiva di qualsiasi peggioramento contrattuale siglato dall'azienda e da benevoli funzionari sindacali. Come ogni divieto, quello che esclude qualsiasi iniziativa di contrasto (e non solo lo sciopero) agli gli accordi, ha le sue specifiche sanzioni e punizioni, che verranno previste al momento della stipula dei nuovi contratti nazionali.

Una battaglia politica

Una linea è stata tracciata, quella tra chi è costretto sulla carta a firmare per licenziamenti, riduzioni salariali, straordinari obbligatori e chi resta fuori dalla rappresentanza. A CISL e UIL si aggiungono dunque, nella ritrovata unità sindacale, la CGIL della Camusso e la FIOM di Landini, più attenti a salvaguardare gli interessi di “parrocchia” che quelli dei lavoratori; la sfilata del 12 ottobre in difesa della democrazia, fortemente voluta dal segretario della FIOM, resta pura retorica se vista da dentro i luoghi di lavoro.

Nella battaglia per l'agibilità sindacale ed il conflitto di classe, ci rivolgiamo non solo ai lavoratori ed ai sindacalisti iscritti militanti o simpatizzanti del sindacalismo di base, ma a tutti coloro, lavoratori o delegati iscritti a CGIL-CISL-UIL, che già oggi rischiano di dover lottare contro licenziamenti e peggioramenti contrattuali con le armi spuntate.

#guerralconfitto

info su: clashcityworkers.org

Rete Camere Popolari del Lavoro