La lotta dei facchini Ikea è la lotta di tutte e tutti!

SE TOCCANO UNO TOCCANO TUTTI!

Sono passati più di due mesi da quando 24 lavoratori sono stati licenziati dalla cooperativa San Martino che li impiegava come facchini nello stabilimento IKEA di Piacenza. Licenziati perché colpevoli di aver lottato per condizioni lavorative dignitose organizzandosi con il sindacato SiCobas.

Contro di loro, oltre alla multinazionale svedese ed alle cooperative ambigue e criminali, si sono scagliati istituzioni e stampa locali, forze politiche parlamentari e sindacati conniventi.

Una situazione dura a cui si è risposto con scioperi e picchetti a Piacenza, mentre in altre città d’Italia si sono svolte numerose azioni di solidarietà.
Ancora non si è riusciti però ad ottenere neanche un tavolo di trattativa, tale è l’arroganza del colosso svedese e la compiacienza delle istituzioni.

Invitiamo allora ad aderire all’appello promosso dal Si Cobas, perché si eserciti la giusta pressione necessaria a far vincere una giusta lotta.
Dobbiamo provare a:
-sostenere la cassa di resistenza;
-organizzare volantinaggi e presidi davanti i negozi Ikea delle nostre città, utilizzando volantini come questo;
-screditare la falsa immagine di azienda benevola e democratica su cui punta l’Ikea utilizzando tutti i canali comunicativi possibili;
- partecipare in massa alla giornata di mobilitazione di Sabato 26 luglio 2014: in tutte le parti d'Italia dove siamo presenti organizziamo dei presidi davanti ai negozi Ikea.

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La lotta dei facchini Ikea è la lotta di tutte e tutti!

Ogni giorno gli organi di stampa non mancano mai di raccontarci quanto siano preoccupati politici, industriali ed editorialisti della situazione di emergenza in cui versa il paese. Disoccupazione al 13%, quella giovanile oltre il 40%, crollo dei redditi medio-bassi, perdita di potere d’acquisto delle famiglie… situazioni drammatiche che obbligano a risposte urgenti in grado di fronteggiarle: è in gioco il mantenimento della pace sociale e la tenuta dell’economia nazionale.
Come? Per cominciare, con le due parti del “Jobs Act”, che rappresenta una delle prime misure volte a far fronte a tale emergenza e “generare nuova occupazione”, secondo le dichiarazioni dello stesso Governo. Che prevede un aumento della flessibilità in entrata, quindi un utilizzo indiscriminato dei contatti a tempo determinato e dell’apprendistato, e di una maggiore flessibilità in uscita, cioè licenziamenti più facili ed altre misure che faciliteranno ai padroni la possibilità di sbarazzarsi dei propri dipendenti.
Chi per vivere deve vendersi in cambio di un salario, dovrebbe quindi considerare normale essere a totale disponibilità di chi gli “garantisce” un luogo in cui essere sfruttati, o lo consegna alla disoccupazione quando non gli serve più.

Dovremmo assistere impotenti a questo spettacolo. Al massimo possiamo dirottare il nostro dissenso e la nostra indignazione verso il teatrino di una politica a sua volta impotente, costretta dai vincoli economici – e dalle direttive provenienti da quegli organi non eletti che li esprimono – a farsi mera esecutrice degli interessi della classe dominante. Le classi dirigenti vorrebbero questo e devono anche sperarlo, perché sanno che tutta la loro forza economica, politica e repressiva, si regge sulle stesse mani che pretendono di sfruttare a proprio piacimento.
Un assaggio del potere di queste mani, che hanno fatto tremare tanti padroni e padroncini di tutto il paese negli ultimi anni, lo hanno dimostrato bene le lotte dei e delle dipendenti delle imprese della Logistica.


Il ciclo virtuoso della logistica

Da oltre 6 anni, a partire dalla Bennet di Origgio e dal Mercato ortofruttifero di Milano, si vanno sviluppando le lotte nei magazzini della logistica, con una grande partecipazione dei facchini e numeri più ridotti di corrieri od altre figure professionali. Magazzini in cui vige un incredibile sfruttamento retto da un sistema di 'subappalto' tramite cooperative, vero e proprio 'caporalato' che consente ai padroncini di organizzare il lavoro senza alcuna tutela normativa né contrattuale, con la turnazione degli orari di lavoro e la ripartizione delle ore lavorate - e quindi del salario - effettuata in maniera arbitraria e discriminatoria. Le cooperative, grazie alla copertura delle multinazionali committenti, ricorrono spesso al lavoro a chiamata ed arrivano a volte al vero e proprio furto di ore di lavoro.
D'altronde questo rappresenta un settore strategico per il capitale, a cui risulta fondamentale spremere i lavoratori che ne fanno parte per risparmiare il più possibile sui costi: negli ultimi trent'anni, da quando le grandi aziende produttive hanno cominciato ad affidare a terzi la gestione dei magazzini e delle scorte, il mondo della logistica è letteralmente esploso, coinvolgendo attualmente 450.000 lavoratori ufficialmente riconosciuti e fino a 700.000 reali.

L’esplosione del settore della logistica è uno dei pilastri su cui si è fondata la capacità del capitale di delocalizzare, di trasferire le attività produttive in ogni angolo del pianeta che consentisse le migliori condizioni di profittabilità – che per lo più significa manodopera a basso costo, assenza di sindacati, regimi fiscali favorevoli. Paradossalmente quindi, la mobilità del capitale si sostiene a sua volta su una forte rigidità. Nel settore della logistica, in cui il 'posizionamento' è centrale, la geografia non scompare.
Così il sogno del capitale, sfruttarci dove vuole o ricattarci con la minaccia di lasciarci disoccupati, si è trasformato in un incubo: le lotte dei facchini abbracciano ormai quasi tutto il territorio nazionale (specialmente nel centro-nord), anche grazie al lavoro di organizzazione del Si.Cobas e dell’ADL Cobas, e dal supporto delle assemblee e reti di sostegno militante dai diversi ruoli e forme di varie città. Lo sviluppo del lavoro di massa sindacale e delle assemblee di sostegno, ma soprattutto lo straordinario protagonismo dei lavoratori, ha permesso così di conseguire importanti risultati concreti: contratti di secondo livello che impongono il pagamento al 100% dei giorni di malattia ed infortunio, tichet restorant, aumento delle buste paga grazie al totale pagamento degli istituti contrattuali e delle ore contrattuali, diminuzione dei carichi di lavoro, la fine delle discriminazioni sul posto di lavoro, eliminazione dei caporali che nei magazzini hanno atteggiamenti antioperai.


Per il fatto di avere innescato un ciclo “virtuoso” e in espansione, in grado tra le altre cose di rompere il ricatto del permesso di soggiorno vincolato al contratto di lavoro che grava sulla maggior parte di questa manodopera per lo più straniera, queste lotte sono state bersaglio di una repressione scientifica e feroce da parte di tutti gli strumenti di cui il padronato dispone. Un caso paradigmatico è quello dell’Ikea di Piacenza: stampa locale, forze politiche parlamentari, sindacati confederali, padroncini delle cooperative, grandi multinazionali e forze dell’ordine hanno fatto “fronte comune” contro i facchini più attivi con contro-presidi di crumiri, allontanamenti e ritorsioni di ogni tipo contro i lavoratori più sindacalizzati e attivi nella vertenza.
Ma se loro fanno fronte comune, i facchini non sono stati di certo a guardare.

Democrazia alla scandinava

Già a metà Ottobre 2012 i facchini delle cooperative del consorzio CGS che lavorano per lo stabilimento Ikea di Piacenza entrarono in sciopero contro buste-paghe misere e per una più equa distribuzione dei carichi di lavoro (c’erano operai pagati 400€ al mese – perché tenuti appositamente a riposo, come misura discriminatoria – ed altri che arrivano ai 1200€ – paradossalmente gli straordinari diventano un “premio” che permette di raggiungere uno stipendio meno misero). Una lotta per il semplice rispetto del CCNL e dei più elementari diritti che vide sin da subito la ferrea opposizione di CGS ed IKEA, che decisero che nulla si potesse accordare ai lavoratori. E per piegarne la resistenza intrapresero azioni punitive contro alcuni di loro, tra sospensioni, minacce di trasferimenti e licenziamenti.
Seguirono mesi di lotta da parte dei lavoratori, che non si lasciarono intimidire, ma anzi riuscirono a coinvolgere e trovarono il sostegno di una rete di solidarietà che vide la partecipazione diretta di molti lavoratori del comparto logistico organizzati dal Si cobas (Ikea, Tnt, Gls, Ortofin, Dhl) a stretto contatto con militanti venuti da Milano, Torino, Genova, Bologna, Piacenza.

Messa alle strette, l’azienda minacciò addirittura di riposizionare i volumi e trasferire alcune commesse con conseguente licenziamento di più di cento lavoratori, proprio “per colpa delle proteste”. Questa si rivelò ben presto più un tentativo di utilizzare l'arma del ricatto che un'opzione realmente praticabile nel breve termine. Il nodo piacentino risulta infatti centrale per la logistica essendo crocevia di traffici commerciali internazionali, snodo di importanti infrastrutture per il trasporto delle merci, al centro del traffico autostradale e ferroviario, collegato direttamente con il porto di Genova e con sei aeroporti nel raggio di poche centinaia di chilometri.
Ikea fu costretta alla fine a reintegrare i facchini, che dopo estenuanti trattative che coinvolsero anche i vertici delle istituzioni locali, tornarono a lavoro nel Gennaio 2013.
A questa vittoria contribuì innanzitutto la forza della solidarietà dei lavoratori dei cobas (TNT, GLS per citare i più importanti di Piacenza), che faceva leva su di una precisa conoscenza del ciclo produttivo e di ogni singolo passaggio di questo, indispensabile nell'ottica della riduzione del danno (per sé) e della massimizzazione delle perdite (per la controparte). La capacità inoltre di indicare chiaramente la controparte, cioè Ikea stessa e non le cooperative del sistema bizantino di subappalti con cui l’azienda svedese occultava le sue responsabilità, ha permesso anche che la costruzione di reti di solidarietà avesse un obiettivo tangibile sul quale misurarsi.
Aver individuato l'IKEA come principale controparte ha permesso l'”attivizzazione” anche di quanti non potevano essere presenti fisicamente a Piacenza. La capillarità della diffusione degli store IKEA sul territorio nazionale italiano, simbolo della forza dell'azienda, si è prestata all'organizzazione di volantinaggi, presidi e, in alcuni casi, di veri e propri picchetti, capaci di interferire con le vendite in un periodo, quello pre-natalizio, in cui gli introiti per gli esercizi commerciali sono massimi. Si è inoltre potuto, grazie a vari siti internet ed ai social network, incidere sull'immagine che l'IKEA cerca di dare di sé di portatrici de diritti e democrazia.
Tutto questo contribuì ad un’importante vittoria.

Adesso l’azienda svedese ha intenzione di vendicarsi: ad inizio di Maggio di quest’anno la cooperativa San Martino, operante nel magazzino IKEA di Piacenza, apre la controffensiva padronale sospendendo 33 facchini fra i più attivi e sindacalizzati. La motivazione addotta è l’ingiustificato blocco del lavoro che avrebbero messo in pratica circa due settimane prima. Nella realtà, i facchini sostengono che si tratta di reprimenda sindacale bella e buona verso il sindacato SiCobas, considerato scomodo, e che il blocco incriminato fu determinato dalla negazione di un’assemblea sindacale unitaria degli impiegati nel magazzino. Subito viene quindi indetto lo stato d’agitazione, con l’adesione della gran parte dei lavoratori. Viene quindi strappato un accordo in Prefettura che prevedeva la reintegrazione di questi lavoratori, che viene però totalmente ignorato dalla cooperativa, che addirittura licenziava 24 di loro.
Interviene quindi immediatamente la solidarietà di lavoratori di altri stabilimenti e di numerosi attivisti di Piacenza e del centro nord, per dare forza all’arma principale di questa battaglia: il blocco della circolazione delle merci. Altrettanto velocemente si costruisce una rete di solidarietà in grado di coinvolgere più città attraverso volantinaggi e presidi.
A fronte di una tale capacità di mobilitazione, i padroni sono stati costretti ad organizzarsi in un vero e proprio “partito IKEA”, come lo ha definito il SiCobas: un blocco sociale monolitico di istituzioni, forze politiche di governo ed “opposizione” e sindacati confederali che puntualmente si esprimono e muovono iniziative tese a criminalizzare la lotta e la resistenza dei lavoratori.


Uniti ed inflessibili contro l’Ikea!


Nelle loro dichiarazioni, gli esponenti di questo ‘partito’ che vanta un consenso bipartisan (dalla Lega al Pd), vorrebbero difendere il “diritto al lavoro” di chi, per colpa dei “violenti”, è impedito a recarvisi, e proteggere le attività produttive del territorio ed i suoi “poli di eccellenza”. Che in effetti eccellono nello sfruttamento, di cui tutti dovremmo essere grati, perché “in un così delicata fase economica” si DEVE accettare anche il più misero dei lavori ed accogliere tutti i soprusi e le violenze che questo comporta. Per questi personaggi ad avere un comportamento violento e mafioso sarebbe allora chi mette in discussione come può, ed a volte come DEVE, gli interessi di chi su questo infame ricatto edifica i suoi profitti: cioè il sistema veramente mafioso e truffaldino delle cooperative e del loro committente internazionale. Secondo un consigliere provinciale del PD, addirittura l’ “impotenza inaccettabile” sarebbe quella della legge e dell’ordine, che non riescono a tutelare la libertà ed il diritto di lavorare a chi ne avrebbe la volontà: non riescono cioè a tutelare il bisogno disperato di chi, oppresso dall’impotenza della disoccupazione, “vorrebbe” anche il peggiore sfruttamento pur di guadagnarsi qualcosa per vivere. Per tutelare chi di questa disperazione approfitta per i propri lauti guadagni.

Attaccando in questo modo la lotta dei facchini Ikea, i padroni cercano di attaccare tutti quelli che provano ad alzare la testa e smettere di pagare il prezzo di una crisi di cui non sono artefici e che li vede in guerra gli uni contro gli altri, per la gioia dei profitti dei primi.
Fioccano denunce dalle varie questure, fogli di via a chi sostiene la lotta, arresti domiciliari (un anno al compagno di Cresh che aveva partecipato ad una protesta davanti all’Ikea di Bologna). Non è un caso che l’amministratore delegato della sezione italiana dell’azienda svedese abbia avuto l’onore di essere ricevuto direttamente dal Governo centrale per discutere a Roma della situazione dello stabilimento piacentino ed avere la gentile concessione di avere un manipolo di sbirri (almeno cento) che presidiano da circa un mese l’azienda dall’interno dei suoi recinti.
Discutere con lo stesso governo che parla di competitività, produttività e crescita mentre contratta a Bruxelles le ricette contro la crisi, annuncia roboanti riforme ed elargisce piccoli contentini per far “ripartire l’economia”. Competitività, cioè una sempre più spietata guerra tra poveri, costretti a scavalcarsi l’un l’altro per garantirsi le briciole elargite dai padroni, che grazie a questa stessa parola avranno sempre più occasioni di investire e di sfruttare manodopera a basso costo. Produttività, cioè lavorare di più ed in meno, anziché redistribuirsi il carico di lavoro con tutti quello che non ne hanno neanche uno. Crescita, quindi: del nostro sfruttamento e dei loro profitti.

Ciò che sta succedendo all’Ikea è ciò che succede con il Jobs Act, con i tagli ai servizi, con la fine della cassa integrazione; è ciò che succede alla FIAT come all’Ilva.
Attraverso gli organi di stampa, i sindacati compiacenti, la politica asservita, chi ci sfrutta non può tollerare che anziché prendercela gli uni con gli altri ci rivolgiamo direttamente a loro per avere ciò che ci spetta. Per questo si uniscono e si muovono su diversi livelli - spendendo fiori di milioni! - pur di schiacciare una ventina di facchini. Nel 2013, facendo come loro, riuscimmo a rispondere ed a batterli. Anche questa volta possiamo e dobbiamo non essere da meno.
D’altra parte se i padroni si compattano e le loro politiche si “armonizzano”, allora è il caso che anche noi iniziamo a fare “gioco di squadra”, a smettere di andare in ordine sparso, provando insieme ad aprire uno spazio collettivo in cui far comunicare le iniziative di solidarietà e di lotta, rafforzarle a vicenda, portarle su un piano politico generale in grado di parlare a tutte le lavoratrici ed i lavoratori.

La lotta contro un futuro lavorativo sempre più precario, misero e faticoso per tutti passa per Piacenza.

Promuovono: SI Cobas - ADL Cobas

Aderiscono: Assemblea Romana di sostegno alle lotte nella logistica - Clash City Workers - Infoaut - Lab. Crash Bologna - Csa Vittoria Milano - Collettivo la sciloria Rho - Network Antagonista Piacentino - Contropiano - Csa Dordoni - Lanterna Rossa Genova - Spazio Guernica Modena - Coordinamento lavoratori Autoconvocati - Militant​ (Roma) - Foglio Primomaggio Veneto - Centro culturale Pablo Neruda - Centro culturale e di documentazione Bertolt Brecht - Areaglobale - Lab. Ska Livorno - Comitati Autonomi Ex Caserma occupata Livorno - eQual Mantova - Hobo Bologna - Collettivo Autorganizzato Universitario (Napoli) - Coordinamento cittadino di lotta per la casa (Roma​) - Colpo (Collettivo Politecnico di Torino) - CSA Jan Assen (Salerno) - Gcr (Gruppo comunista Rivoluzionario) - Coc (Comunisti per l'organizzazione di classe) - No Austerity Coordinamento delle lotte - Il Pane e le rose (Roma) - Comitato di sostegno ai lavoratori Fincantieri - Sin.Base Genova - Rsu USB Ikea di Corsico - Emidia Papi, Paolo Sabatini Esecutivo nazionale USB lavoro Privato - Coordinamento provinciale dell'Unione Sindacale di Base di Livorno - Primomaggio Toscana - Collettivo Red Link (Napoli)​ - Partito di Alternativa Comunista - Coordinamento lavoratori autoconvocati - Assemblea operaia "No Signor No" - Bassano del Grappa (Vi) - Federazione di Roma del PRC

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Per saperne di più:
- La lotta ai tempi dell’Ikea. Potere, organizzazione e solidarietà. Come e perchè si vinse nel 2013
- Le recenti puntate de Il Tappabuchi e di Controtempi (dal min 20)

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