Raccolta di infografiche su vertenze romane

Ogni vertenza di lavoro è uno scontro tra un gruppo di lavoratori e chi l’azienda la possiede o la dirige. È uno scontro tra chi pensa che qualche centinaio di licenziamenti siano un modo per dimagrire i costi, e per chi è il rischio di perdere ogni cosa. Oppure tra chi pensa che aumentare la flessibilità oraria e mettere gli straordinari in banca ore sia efficientare l’utilizzo della manodopera, e chi vede il proprio tempo libero erodersi sempre di più, ed il proprio fisico crollare.
Non sono solo gli interessi a scontrarsi, ma anche le parole.

Lo scontro spesso non si ferma tra le quattro mura di un’azienda, altri occhi guardano interessati. Ci sono gli occhi preoccupati dei lavoratori del settore, a cui poi magari diranno “firmate il nuovo contratto, o finirete come quelli là”, e ci sono gli occhi di tutti quelli a quali in questi anni è stato chiesto di fare i sacrifici. Dall’altra parte, c’è chi sa che i propri interessi coincidono con quelli dell’azienda di turno. Magari si tratta di imprese concorrenti, che lottano per spartirsi fette di mercato, ma entrambi sono d’accordo nel considerare i lavoratori come un costo da ridurre quanto possibile. Entrambi vedono di buon occhio una riduzione della maggiorazione dello straordinario, una diminuzione della paga base, la possibilità di demansionare un lavoratore o di licenziarlo più facilmente. Entrambi sentono un profondo astio per gli scioperi, le proteste, i rappresentanti dei lavoratori e i sindacalisti che fanno davvero il proprio lavoro, e non si accomodano con loro, e in generale l’idea che i lavoratori sentano di avere dei diritti gli fa venire l’orticaria.

È per questo che quando una vertenza buca il muro di isolamento mediatico in cui giornali e TV si impegnano a confinarla, non deve essere descritta in maniera oggettiva. Tantomeno si devono spiegare chiaramente le ragioni dei lavoratori. Un lavoro che facile quando l’informazione è monopolio di TV e giornali che rispondono al Governo o a grossi consorzi imprenditoriali. Guardare lo schema delle proprietà della stampa italiana è come guardare la mappa del capitalismo italiano. Il massimo che è concesso ai lavoratori è la compassione: siamo dispiaciuti per voi, la situazione è difficile, ma non c’è alternativa. Se non c’è odio e disprezzo, per sfruttati e disoccupati c’è al massimo il pietismo di qualche trasmissione di “sinistra”. Per la maggior parte non c’è nemmeno questo, ogni servizio viene avvolto dal fumo ideologico (mai sostanziato da spiegazioni, e spesso nutrito da leggende metropolitane) dei “lavoratori privilegiati” che dovrebbero ringraziare anche quando prendono mille euro al mese perché “c’è chi è disoccupato”.
In questo contesto mettere in fila i fatti e ricostruire l’ordine degli eventi diventa un gesto di rottura. Le cose iniziano a parlare da sole: i padroni non sono in crisi, hanno preso un sacco di soldi di incentivi, i sacrifici sono anni che li facciamo, il Governo gli ha concesso di tutto, le privatizzazioni non sono servite a niente, intanto i padroni si sono arricchiti. È la verità che urla vendetta. È quello che “in teoria” - se fossero vere tutte quelle cose scritte sui manuali di giornalismo - dovrebbero fare i reporter e la “libera” stampa, ma abbiamo visto da tempo che sono in pochi da quelle parti a non essere dei passacarte o dei carrieristi. Dare voce alla realtà delle lotte dei lavoratori, è un po’ quello che abbiamo sempre provato a fare con il nostro lavoro sul sito clashcityworkers.org, scrivendo articoli, facendo interviste.

Le info-grafiche che abbiamo fatto a Roma (dove nell’ultimo anno ci sono state parecchie grosse vertenze) ne sono un po’ un condensato. Ci sono servite per ristabilire dove stava la responsabilità delle crisi aziendali, per orientare chi ci seguiva nella nebbia di luoghi comuni e false notizie che i media stavano tirando su. Basti pensare al “siamo stati licenziati dai sindacati” di Almaviva, fino agli “autisti fannulloni” di Atac. Anche ai diretti interessati, i lavoratori con la cui “consulenza” sono state scritte, sono piaciute molto. Sia per poter finalmente condividere sui social media come stanno veramente le cose, sia perché erano una sorta di “lettera di presentazione” da dare ai dipendenti di altre aziende nelle numerose occasioni in cui si sono trovati a lottare insieme (a Roma è anche nato un Coordinamento Lotte Unite che ne raggruppa parecchie: Almaviva, GSE, Sky, ACI Informatica, Alitalia, insegnanti…). E poi sono state usate tantissimo nella propaganda mobile che abbiamo fatto in questi mesi, attaccate sul furgone con cui spesso siamo andati a volantinare e megafonare in giro per la città e fuori dai posti di lavoro, e, nel caso dell’Atac, attaccate sulle fermate dell’autobus o della metro per far conoscere le ragioni dello sciopero agli utenti. Piccole gocce, e la strada è ancora tutta in salita, ma dalla nostra sappiamo di avere un’arma formidabile: la verità!

Infografica Atac

 

 

 

 

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