[Napoli] Un racconto dal presidio di Leroy Merlin: lottare è possibile!

Per “festeggiare” il Primo Maggio stamattina siamo stati in presidio da Leroy Merlin ad Afragola. Il perché lo trovate qui: in sostanza la catena francese di bricolage, come molti altri gruppi della Grande Distribuzione, ha deciso di restare aperta nonostante oggi sia la Festa dei Lavoratori. Una contraddizione resa ancora più intollerabile dal fatto che da mesi i 180 lavoratori di quell’esercizio lottano e scioperano contro il lavoro domenicale e festivo, e l’aumento dei carichi di lavoro.

Per onorare questa giornata di lotta ci sembrava giusto stare in uno dei posti dove la contraddizione è più forte. Anche perché quest’anno – condividendo una sensibilità della maggioranza delle persone, che intuitivamente capiscono l’importanza del Primo Maggio come conquista storica e riconoscimento sociale di chi ogni giorno produce la ricchezza – volevamo far passare un messaggio chiaro: IL PRIMO MAGGIO NON SI LAVORA!

In queste righe vogliamo raccontarvi brevemente com’è andata. Perché pensiamo che le esperienze e le riflessioni fatte in occasione di queste iniziative vadano condivise, perché possano essere riprese, collegate e generalizzate e diventare elemento di una forza collettiva.


L’appuntamento è per le 10 fuori da Leroy Merlin. Appena arrivati la prima sorpresa: siamo tanti, più di un centinaio di persone: studenti, precari, lavoratori. Occupiamo tutto il passaggio davanti alle entrate, dove le macchine cercano faticosamente parcheggio. Certo, non sono i numeri di una rivoluzione, ma sono sorprendenti per un’iniziativa nata negli ultimi giorni, organizzata da pochi, su una questione che di solito non è nelle corde del movimento, in una sperduta periferia in cui si arriva solo con la macchina... Questo dato ci fa riflettere: probabilmente esiste in molti compagni la voglia di intervenire sulle questioni del lavoro, di intercettare e parlare alla “gente normale”, di andare a dare un sostegno visibile ai lavoratori, un sentimento di protesta contro la violazione del Primo Maggio, che è una festa conquistata con il sangue, che mai deve diventare una sfilata...

Troviamo anche una camionetta con la polizia in assetto antisommossa e un po’ di digos che ci ronza intorno. Ci è successo già altre volte: anche un presidio tranquillo può fare paura se quello che promette è il collegamento fra militanti politici, spesso giovani e pieni di idee e di energie, e i lavoratori pieni di rabbia e di frustrazione. Il mix potrebbe essere letale per chi comanda…

Ma il quadro non è completo. In mezzo, fra noi e la polizia, ci sono centinaia di persone e di macchine. E anche questo – che i centri commerciali in un giorno di festa siano pieni, che la gente vada lì invece di passeggiare, frequentare un museo o arrivare fino in città – ci sorprende poco. Molti di noi vengono dalla periferia nord, e sanno che l’hinterland fa schifo, non c’è niente da fare, niente da vedere, la benzina costa, la tangenziale costa, il parcheggio costa e allora a Napoli non ci arrivi: porti la famiglia lì, in questi centri di intrattenimento totale, che magari ti permettono di vedere anche gratis la partita, di posare i bambini da qualche parte e – soprattutto – di fare quelle spese che durante la settimana non hai tempo di fare, perché anche tu lavori tanto, e quando c’hai un po’ di libertà vai a compare le cose che ti servono a prezzi più bassi di quelli che ha il negozietto sotto casa…

Senza moralismi dunque, e con la voglia di relazionarci al meglio alla nostra classe, iniziamo il presidio, invitando con il megafonaggio i “clienti” a unirsi a noi, a sostenere la lotta dei lavoratori di Leroy Merlin. Distribuiamo volantini chiedendo ai clienti di lasciare il coupon alle casse in solidarietà con chi è obbligato dall’azienda a lavorare. Ed è lì che succede una cosa che ci sorprende, questa sì: moltissimi clienti, che in realtà non sono altro che lavoratori di tutti i tipi, sostengono l’iniziativa, si fermano a parlare, si trovano d’accordo. Alcuni quasi si scusano di essere venuti, ma non avevano alternative, altri lasciano il coupon alle casse, altri ancora dicono che vorrebbero un sostegno simile sui loro posti di lavoro.

Incoraggiati da questo risultato decidiamo di compattarci ed entrare nel magazzino, per far sentire la nostra voce anche ai lavoratori che, sorvegliati dai loro capiturno e dalla dirigenza, non erano potuti uscire. E anche per impedire, per tutto il tempo che sarà possibile, che il lavoro vada avanti. Così va in scena un corteo interno, che riempiendo le sale, blocca nei fatti la normalità dell’esercizio commerciale: i clienti e i lavoratori – molti fra i trenta e i quarant’anni, molte anche le donne, le più penalizzate dai contratti e dagli orari – si fermano e ci ascoltano, parte qualche applauso, la polizia e la vigilanza si mobilitano, finché non siamo costretti a uscire.



Una bella azione, insomma, che dimostra come è possibile, se solo fossimo più coscienti e organizzati, che è possibile inceppare la macchina della produzione e del consumo e imporre le nostre esigenze almeno finché non ci danno risposte. Un’azione diretta che rompe con gli infiniti rimandi dei sindacati confederali, che appena sentono parlare di lotta rabbrividiscono e fanno da tappo. Oggi abbiamo mostrato che lottare è possibile, e che bisogna farlo tutti insieme, sapendo indicare come nemico ogni anello della catena che ci imprigiona, dai dirigenti e dai padroni di Leroy Merlin fino ai politici che fanno i decreti che permettono l’apertura nei giorni festivi dei grandi magazzini.

Certo, non possiamo né vogliamo nasconderci le difficoltà. I lavoratori di Leroy Merlin erano comprensibilmente intimoriti dal controllo che si esercitava su di loro, molte cassiere non volevano nemmeno toccare i coupon che i clienti ormai convinti gli porgevano, avevano forse paura di ripercussioni. In altri prevaleva certamente il motto: “almeno oggi lavoriamo”, visto che al Sud la disoccupazione è di massa e il ricatto è forte. In questa fase di crisi la paura di perdere il lavoro è forte, anche se Leroy Merlin tira su, anche ad Afragola e in questo periodo, profitti belli grossi.  

Ma con alcuni di questi lavoratori ci abbiamo parlato, li abbiamo conosciuti: questo per oggi ci basta. Anni di abbandono del sindacato e di assenza dei militanti politici nei luoghi in cui sta la nostra classe non si recuperano in una giornata... Il dato di oggi è che, a Napoli come in diverse parti d’Italia, le compagne e i compagni dei collettivi più diversi hanno incominciato a interessarsi alla contraddizione capitale/lavoro. A capire che è materialmente possibile fare qualcosa su questo terreno, sperimentando percorsi nuovissimi e vecchissimi. E altrettanti lavoratori, che sono molto meno passivi di come si pensi, e che anzi si informano, resistono, cercano delle sponde, hanno capito che si possono ribellare.  

Questo 1° Maggio 2014 non passerà alla storia come una data epica. Ma forse un giorno, guardandoci indietro, lo metteremo all’alba di una storia che epica lo sarà sicuramente.   

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qui una panoramica delle iniziative di lotta nelle varie città italiane

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