Anche il mondo della scuola è contro il Jobs Act! Un’indicazione dalle piazze d’Italia

Oggi è successo qualcosa di importante, che perfino Repubblica, il giornale padronale che più sta sostenendo il Governo Renzi, non può ignorare. Migliaia di persone – difficile dire quante: al momento si parla di circa 100.000 – sono scese in piazza in quasi 100 città (qui il report di Contropiano  e Infoaut).

Al centro della protesta c’era certamente il progetto di “buona scuola” di Renzi, che punta a rendere sempre più simile la scuola a un’azienda, con presidi-manager onnipotenti; insegnanti costretti a orari di lavoro prolungati, e costantemente in competizione fra loro per accedere agli (irrisori) scatti di stipendio; precari che rischiano di essere esclusi definitivamente dal nuovo sistema di reclutamento; studenti disciplinati, indottrinati e costretti  a “formarsi” attraverso l'offerta di manodopera gratuita sottoforma di stage e tirocini, magari presso le stesse aziende private cui sarà offerta la possibilità di finanziare le scuole, controllando di fatto i consigli d’istituto… Ma, e qui torniamo a Repubblica, oggi c’era qualcosa in più.

Perché – stranamente, se pensiamo ai tanti corporativismi che attraversano il nostro paese – non era solo la scuola al centro della protesta del mondo della scuola. C’era anche il tema di questi giorni, quello che più sta aprendo contraddizioni negli assetti di governo, quello per cui stanno scioperando e scendendo in piazza operai e lavoratori più o meno precari: il Jobs Act.

Studenti in piazza contro Jobs Act e riforma della scuola, titola La Repubblica e, affianco, è costretta a ribadire il concetto con un titolo ancora più eloquente: Gli studenti son tornati (per l'articolo 18). In effetti, andando oltre la propria specificità, in molte città e quasi spontaneamente –  perché questi problemi sono all'ordine del giorno di tante famiglie proletarie, di tanti genitori licenziati, di tanti fratelli precari – studenti e insegnanti si sono presi la briga di dire la loro non solo su ciò che li riguarda da vicino, ma sul problema più scottante, sulla contraddizione più generale: quella del lavoro, fra chi vuole sfruttarci e arricchirsi con il prodotto del nostro lavoro, e noi che resistiamo a questo sfruttamento che ci consuma.

D’altronde la connessione fra scuola e lavoro è sempre stata fortissima, e la impariamo sin da piccoli, quando l’appartenenza sociale dei nostri genitori stabilisce in quale scuola dobbiamo andare, cosa saremo da grandi, quali sogni ci possiamo permettere. Ma con la doppia riforma in simultanea del Governo Renzi questa connessione appare ormai palese. Anche perché già oggi, e sempre di più domani, molti studenti degli istituti tecnici sono costretti, per “formarsi”, a stage, ovvero lavori non retribuiti, in fabbriche e aziende.

In altri termini, il Governo e le classi dominanti attaccano allo stesso tempo sia il mondo della formazione che quello del lavoro, non solo per piegarli alle stesse logiche di sfruttamento, competizione, produttività, ma per ridisegnare complessivamente le nostre stesse condizioni di esistenza, dalla culla alla tomba (visto che la pensione non la vedremo!).

Ora, non basterebbero tre pagine per raccontare quello che è successo in tutte le piazze di oggi, e la connessione che si è resa visibile fra due mondi spesso lontani della scuola e del lavoro (mondi che, quando sono stati uniti, hanno fatto paura: si pensi agli anni Settanta!). Facciamoci bastare qualche esempio.

A Torino lo striscione di apertura era “Scuola per tutti, precarietà per nessuno”.
A Milano alcuni studenti, per protestare contro i contratti iper-precari dell’Expo e contro il Jobs Act, hanno rovesciato del letame davanti alla sede dell’Università Cattolica.
A Firenze il corteo si è fermato davanti a Eataly, dando solidarietà alla lotta dei lavoratori licenziati da Farinetti.
A Terni 200 studenti hanno sfilato insieme ai lavoratori delle acciaierie Ast in sciopero dopo la rottura della trattativa sul piano industriale e l’avvio della procedura di mobilità per 537 lavoratori.
A Mantova (report), Benevento, Cava, Firenze, Napoli, è comparso lo stesso striscione che recitava: “Disciplinati oggi, sfruttati domani: uniti e inflessibili contro il Jobs Act!”. Uno slogan che prova a ricompattare la divisione che il Governo utilizza e rinforza fra studenti e lavoratori, vecchi e giovani, “garantiti” e non garantiti… Nello specifico a Napoli questa protesta si è addirittura concretizzata con il lancio di vernice alla sede del Ministero del lavoro!
E potremmo continuare…

Quello che qui ci interessa evidenziare è che la ricomposizione della nostra classe è nelle cose, avviene in una certa misura spontaneamente, incomincia a individuare, per quanto ancora con discontinuità, la sua controparte nella classe che ci sfrutta e nel suo braccio “armato”, ovvero il Governo Renzi.

Proprio perché il Jobs Act cambierà da subito le nostre vite, e avrà enormi ripercussioni sul nostro futuro, indipendentemente da cosa materialmente siamo oggi, così la battaglia contro Jobs Act e contro le riforme di questo Governo può essere la battaglia di tutte e tutti, può essere il luogo in cui ritrovarci e far esplodere le mille contraddizioni che attraversano il paese.  

Questo è uno spunto che le piazze ci consegnano verso il 16 ottobre, prossima giornata di mobilitazione: più che perderci in diecimila slogan e divisioni, meglio dare alle milioni di persone che ci guardano un segnale chiaro: mondo della scuola e mondo del lavoro (che - va da sé! - include anche il mondo del precariato e della disoccupazione) sono uniti per fermare il Governo Renzi. Ce la faremo?

***
Per un aggiornamento continuo su quello che si sta muovendo in Italia a tutti i livelli contro il Jobs Act vedi qui

Di seguito tre interviste realizzate da Radio Blackout

Firenze - Studentessa della Rete dei Collettivi Fiorentini


Napoli - Studente del SAC (Studenti Autorganizzati Campani)

 

Torino - Lavoratore esternalizzato delle biblioteche di UniTo

 

 

Renzi   Jobs Act   Art.18  

Rete Camere Popolari del Lavoro