[Napoli] Uno sciopero operaio, visto dal basso. Il nostro 21 novembre

Di quante cose si potrebbe scrivere oggi! Si potrebbe raccontare l’ennesima giornata di protesta contro la riforma del lavoro, l’imponente corteo che ha sfilato nel centro di Napoli portando con sé gli striscioni, le resistenze e le speranze di ventimila lavoratori.

O fare un’analisi dettagliata di questo secondo momento di mobilitazione della FIOM dopo il corteo del 14 a Milano, seguire la curva delle ore di sciopero, le percentuali di adesione, per certificare un sentimento di insubordinazione che attraversa la classe operaia del nostro paese, e guardarci negli occhi e chiederci se una volta tanto non si faccia sul serio, se non si possa vincere davvero…

O si potrebbe commentare il dietrofront di Landini che, dopo aver affermato: “Renzi non ha il consenso delle persone oneste”, ha ritirato la frase, proprio quando sarebbe stato il caso di sostenerla fino in fondo, per ricordare a tutti che questo Governo si regge piuttosto sul consenso di Confindustria (non a caso il Presidente Squinzi si è prontamente sentito tirato in ballo), ovvero su un padronato intrinsecamente disonesto, se non altro perché fa profitti sul furto del nostro tempo e del nostro lavoro, che non retribuisce mai adeguatamente...

Ma tutte queste cose le sapete già, magari le leggerete altrove, comunque è materiale per domani. Quello che vogliamo fare oggi, in queste righe, è solo restituirvi la nostra piccola esperienza, che ci sembra rappresentativa di qualcosa che si sta muovendo nel corpo della classe. Perché, se aveva senso partecipare a questo sciopero, non era certo per flirtare opportunisticamente, come molti ancora fanno, con le dirigenze sindacali, ma per costruirlo dal basso, sviluppando quell’unità e quell’autonomia di classe che sole possono permetterci di vincere. Perché è troppo vero che “senza la base scordatevi le altezze”.  

Da questo punto di vista, dal nostro punto di vista di proletari in lotta, questa giornata ha assunto soprattutto il senso di un affratellamento, di una conoscenza, di un mettersi insieme riconoscendo il nemico comune. E questo sin dalle prime luci dell’alba. Perché, come ci hanno insegnato negli ultimi anni i facchini della logistica, il corteo è solo un momento della protesta, prima e dopo c’è lo sciopero, quello che fa perdere soldi al padrone, quello che parla l’unica lingua che capisce: i soldi. Prima e dopo ci sono i picchetti per convincere i lavoratori non ancora convinti, i blocchi per non far entrare i crumiri.

No, non è il 1969, è il 2014, provincia di Napoli. I picchetti servono ancora, e gli operai di un’importante industria metalmeccanica li hanno messi su per far riuscire al massimo la protesta. Noi andiamo a portare la nostra solidarietà, i nostri corpi per fare massa, uno striscione – “uniti e inflessibili contro il jobs act”, perché pensiamo che la riforma tocchi tutti, non solo gli operai, ma anche i disoccupati o i cosiddetti “precari”. Andiamo ad aiutare sì, ma anche ad imparare. Perché sono tante le cose che gli operai raccontano mentre si aspetta al freddo e al buio che arrivi qualcuno, prima una volante della polizia, poi un collega con cui litigare, poi uno che ti porta il caffè.

Non ci sono nostalgici qui: ci sono operai fra i 25 e i 40 anni, una nuova generazione che sta alzando la testa, gente che ha famiglia ma che è disposta a perdere la paga del giorno, a rischiare con i capi, per veder rispettati i diritti propri e di tutti. Stando con loro ci colpiscono alcune cose: innanzitutto la loro acuta consapevolezza che la lotta che stanno facendo riguarda tutti, non solo gli operai, che ci dobbiamo unire fra sfruttati – “ci servono ponti”, ci dicono. Altro che corporativismo! Poi la determinazione con cui tengono il presidio: ci sono quelli che hanno fatto il turno di notte, che sono svegli dal giorno precedente, ma che comunque restano a dare una mano prima di andare al corteo. C’è anche la voglia di aprirsi e raccontarti come funziona la fabbrica, come la società da quel punto di vista appaia in tutt’altra luce… C’è la preoccupazione che il sindacato, dopo aver fatto un po’ la voce grossa, ripieghi su un accordo al ribasso, c’è l’inquietudine per il futuro a causa degli annunci del super manager… Ma c’è anche l’allegria di stare insieme, quella complicità fra persone abituate a pararsi il culo a vicenda, quella solidarietà che non è mai un dato scontato, visto che in fabbrica come altrove ti insegnano la competizione prima della collaborazione…
 
Alla fine teniamo il presidio per tre ore e mezza: quasi nessuno passa, giusto il personale della sicurezza. La produzione per oggi è bloccata, la dimostrazione di forza è riuscita.

È tempo di andare in piazza, dove con il Comitato Licenziati e Cassaintegrati FIAT avevamo programmato un’azione spettacolare. Questi operai, che più volte hanno dato prova non solo della loro determinazione e resistenza, ma anche della loro creatività, e per questo sono stati licenziati e spesso ignorati dalla stessa FIOM, arrivano al concentramento in limousine! Il perché sta scritto sulle loro magliette: “Gli operai in paradiso, Renzi e Marchionne alla catena di montaggio”. E ancora, sui cartelli: “vogliamo tutto”, a ricordarci che, mentre c’è gente che fa la fame, anche in questi anni di crisi c’è chi la limousine se l’è potuta permettere, e che non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo accettare la miseria che ci propongono, che anche il lusso è un nostro diritto!

Una scena surreale, la limousine in mezzo al corteo, ma potentissima, che suscita lo sbalordimento, l’ilarità, il plauso degli altri operai. E che ci indica un metodo: se si apre uno spazio, sta a noi cogliere l’occasione e riempirlo con i nostri contenuti, costruendo consenso sulla nostra visione politica, proprio per evitare che quello spazio venga chiuso dalle stesse dirigenze quando il gioco si fa duro.  

Ma la giornata doveva riservarci un’altra bella sorpresa. Avevamo infatti organizzato, al passaggio del corteo, la calata di un grande striscione da un balcone dell’università. Uno striscione su cui erano riportati i nomi di diverse vertenze che hanno contraddistinto questi mesi di lotta, suggellate da uno slogan che abbiamo ripreso dal Comitato Lavoratrici e Lavoratori Livornesi: “Se colpiscono uno, colpiscono tutti”. Il nostro scopo era ancora una volta parlare direttamente agli altri lavoratori, e comunicare quel senso di solidarietà che fa tale la classe, dire che possiamo salvarci solo facendo affidamento sulle nostre forze.

Quello che non ci aspettavamo è che, accesi i fumogeni e iniziato l’intervento dal camioncino, ci venissero ad abbracciare gli operai dell’AST di Terni, che ci avevano riconosciuto per le numerose iniziative di solidarietà con la loro lotta (dai caschetti blu contro Padoan all’iniziativa all’università, passando per la striscionata notturna per segnalare la loro occupazione dell’A1 tre settimane fa). Fra le risate e gli abbracci ci hanno detto che se ieri sono riusciti a resistere al tentativo di azienda, governo e parti sindacali di chiudere con un accordo al ribasso, e hanno deciso per il mantenimento dello sciopero e dei presidi è anche grazie alle tante azioni e messaggi di solidarietà ricevuti da tutta Italia… E  a noi c’è restata la bella sensazione di sapere che quello che facciamo ha senso, che riesce a dare forza ai “nostri”, per quanto lontani siano.   

Così ci rendiamo conto di quante cose si possono fare dal basso, quanto è semplice – se abbiamo in testa un obbiettivo e non solo un’identità – uscire dai falsi dilemmi del “non vado dal sindacato” “mi accodo al sindacato”. Sono piccole cose queste, sperimentazioni, ma sono, come diceva Gramsci, eventi molecolari: legami che se moltiplicati su tutto il territorio nazionale, se intensificati, se continuati nel tempo, possono produrre un salto qualitativo incredibile. Come accaduto proprio a Livorno, dove i sindacati si sono accodati alle esigenze espresse dai lavoratori riuniti in un comitato autonomo, intrecategoriale e intersindacale.  

Ma non è il caso oggi di lanciarci in troppe riflessioni. Oggi ci resta in mano l’incontro con tanti lavoratori, le cui situazioni e necessità abbiamo cercato di restituire e mettere a disposizione di tutti nelle interviste. Quello che è certo è che non bisogna fermarsi. Già domattina saremo di nuovo attivi, con un’assemblea di da tutta Italia contro i licenziamenti politici. Già da domani costruiremo un nuovo intervento nella giornata del 12 dicembre, nello sciopero generale della CGIL e della UIL, un intervento che non si limiti alla testimonianza, ma tenti piuttosto di prendere di petto il nodo che tutti abbiamo davanti: quale politica, quale organizzazione, quali pratiche costruiscono l’unica arma che abbiamo, l’unità di classe? Vedremo cos’altro ci riserverà quest’autunno. Nel frattempo, restate sintonizzati…

Rete Camere Popolari del Lavoro