FCA: Due giornate di scioperi, gli operai resistono contro il modello Marchionne.

Nel 2010, con l'accordo di Pomigliano firmato dai sindacati: Fim (Cisl); Uilm (Uil); Ugl; Fismic; Ass. Capi e Quadri (quest'ultimo racchiude nel nome tutta la sua vocazione), vengono stabiliti nuovi ritmi lavorativi, e quindi di sfruttamento.

Nella fabbrica campana l'intesa viene sottoposta a referendum. Nonostante le condizioni ricattatorie e le vessazioni subite dagli operai che provano ad aprire bocca a favore del rifiuto, il No ottiene il 40% dei voti.

I nuovi ritmi pian piano estesi anche al di fuori di Pomigliano, porteranno un operaio a lavorare 400 vetture in un turno, 60 macchine l'ora, 1 vettura al minuto. Il contratto, oltre a stabilire 3 turni da 8 ore sei giorni la settimana, prevede 120 ore l'anno di straordinari imposti (“concordati”) con il singolo operaio e pause da 30 minuti ridotte anche a 20. A questo si aggiungerà la variante peggiorativa che dal marzo 2015 prevederà 20 turni suddivisi in 4 squadre e che metterà, all'abbisogna, gli stabilimenti a lavorare 24 ore su 24. In periodi poi di maggior produzione non vengono date ferie perché si cerca di ottenere il massimo della produttività con il minor numero di lavoratori.

L'azienda per inasprire quello che a tutti gli effetti è un regime, oltre al consueto strapotere dei capi squadra (oggi “ripuliti” con la definizione di “team leader”) che controllano il mantenimento di ritmi al limite della resistenza fisica, introduce una metrica del lavoro chiamata Ergo-Uas. Questa ha il compito di eseguire un monitoraggio costante e pervasivo che controlla ogni singolo movimento del lavoratore. Lo scopo come sempre è quello di abbattere i tempi morti.

E i morti puntualmente cominciano ad arrivare.

Nel 2011 a Termoli muore di infarto il quarantasettenne Antonio Cerio padre di un bambino di 10 anni.

Nel 2015, a Pomigliano d'Arco, dopo aver lavorato per due notti di seguito, muore stroncato da un infarto Luigi Noto di 49 anni.

Nel 2016, durante un turno notturno, muore, anche lui di infarto, Massimo Lombardi di 54 anni e padre di due figli. Affetto da gravi problemi cardiaci, già da tempo aveva fatto richiesta di essere spostato in un'altra area più idonea.

Non scordiamo nemmeno chi nell'indotto è coinvolto in questa catena di montaggio allargata. Agli inizi di dicembre 2016 muore ancora per infarto Saverio Valerio, 57 anni, dipendente della Prima Eastern in Val di Sangro.

Il sistema Fiat però, oltre all'oppressione ha bisogno di altri due ingredienti: la repressione ed il consenso.

Ecco quindi trasferimenti forzati in luoghi di punizione come il reparto confino di Nola in cui ogni giorno vengono deportati centinaia di operai che hanno avuto a che fare con proteste di una certa entità o con sindacati scomodi o che vengono reintegrati a seguito di vertenze vinte. Proprio a Nola nel 2014 si tolgono la vita Giuseppe De Crescenzo e Maria Baratto. E ancora, cambi turno per rendere più difficili gli spostamenti se non si è muniti di una propria autovettura. Inoltre non sono consentite assemblee all'interno delle fabbriche al di fuori di quelle dei sindacati “firmaioli” che si guardano bene da mettere all'ordine del giorno argomenti realmente importanti. Non vengono resi noti nemmeno i numeri della forza lavoro e quindi quanti sono gli operai in trasferta e quanti gli interinali. Quando si è in prossimità o durante uno sciopero i capisquadra passano alle vie di fatto minacciano di licenziamento chi si astiene o ha intenzione di astenersi dal lavoro.

I racconti delle lotte e di ciò che accade negli stabilimenti Fiat rischiano di intaccarne l'immagine costruita, oltre che, da una stampa, di proprietà ed amica, che per anni descrive piani fantasmagorici serialmente mai avveratisi, anche da una campagna pubblicitaria che nel 2012 a colpi di spot parla di “Orgoglio italiano”. Che dire poi dell'operazione “felicità” (“I'm happy”) del 2014. Un balletto di maestranze ammaestrate. Ma la comunicazione oltre a rivolgersi verso l'esterno, lavora ai fianchi i lavoratori con lo scopo di dividerli e sfiancarli. Infatti alla vigilia di scioperi o proteste escono puntualmente articoli mirati che prospettano nuovi modelli e nuovi cicli produttivi. Questo è il caso recente di Pomigliano in cui l'azienda, dopo l'incontro con i sindacati del 16 giugno, non dava nessuna possibilità per un nuovo piano industriale. Mentre ora, alla vigilia dello sciopero del 30, sindacati amici ed articoli mirati dicono che l'azienda farà partire la produzione di un nuovo modello Alfa.

A noi invece pare assai evidente che l'ambizione di questa multinazionale sia il completo ed incondizionato asservimento della vita di lavoratori e lavoratrici al fine di un estremo arricchimento che è stato permesso, oltretutto, da decenni di aiuti di stato (dal 1977 al 2013 solo per interventi di ristrutturazione, innovazione o avviamento, sono stati 7,6 mld. Al netto quindi di cigs e prepensionamenti altrimenti la cifra salirebbe vertiginosamente).

Nonostante si trovino difronte ad un enorme Moloch del capitalismo italiano, gli operai ricominciano una nuova stagione di lotte in un clima tra i più duri che si ricordi da molti anni a questa parte. Nelle fabbriche della Fiat del sud Italia si organizzano in un coordinamento contro gli straordinari obbligatori del sabato. In alcune fabbriche, come a Termoli, vengono indetti scioperi e cortei che da una iniziale bassa percentuale di partecipazione, tra l'aprile e il maggio del 2016, arrivano ad ottenere adesioni con punte del 60% bloccando a più riprese la produzione. Questo però non basta.

Attualmente la situazione ripropone problemi molteplici e su più fronti:

A Melfi dal 29 giugno i 5.549 operai della fabbrica saranno posti in cassa integrazione fino al 2 di luglio. Dopo il primo fermo che era stato tra febbraio e marzo. Anche qui il segretario della Fismic, Pasquale Capocasale, non ha perso occasione per ricordarci che il male della Fiat sono quei sindacati che chiedono più diritti: “..ci preoccupano alcune organizzazioni sindacali che avallano questa situazione e chiedono di tornare ai 15 turni”.

A Termoli, tranne nei momenti di sciopero, non si è mai smesso di lavorare a ritmi forsennati su 20 turni e tutti i sabati. Stessa sorte per la Sevel di Castel di Sangro.

A Mirafiori continua il contratto di solidarietà per i 1.926 operai.

A Pomigliano si va incontro a 2.000 possibili esuberi ora anche loro in contratto di solidarietà. Trecentotrenta operai trasferiti a Cassino senza data di rientro ed indennità di trasferta.

A Cassino cassa integrazione per 2.000 operai e 500 interinali non rinnovati per far spazio ai trasferimenti da Pomigliano.

I momenti di lotta saranno due. Il primo, organizzato dal Si Cobas, Usb di Melfi e operai iscritti Fiom di Cassino, è previsto per venerdì 30 giugno. Per quella data è indetto lo sciopero generale in tutte le sedi con manifestazione e presidio davanti all'ingresso principale dello stabilimento di Cassino.

La chiamata recita: “Il fallimento provvisorio del piano industriale dell'intero gruppo Fca e quello dei modelli Alfa a Cassino la dice lunga sulla tenuta produttiva ed occupazionale dello stabilimento

di San Germano. Una lotta che ci unisce. Gli operai di Cassino si devono unire agli operai di Pomigliano, Termoli, Sevel, Melfi, Mirafiori ecc. per rivendicare quelli che sono i punti del nostro piano industriale:

  • Nessuno dei 500 precari va licenziato
  • I ritmi di lavoro devono essere abbassati
  • La pausa va aumentata
  • Il sabato lavorativo va eliminato
  • I lavoratori rcl (ridotte capacità lavorative) devono essere tutelati e collocati su idonee postazioni
  • Ai cds (contratti di solidarietà) dobbiamo rispondere con la lotta e pretendere da padroni ,governo, e regione una equiparazione salariale”.

L'altro momento di lotta, si terrà l'1 e il 2 luglio e segue, riprendendo gli scioperi del 2016 dei sabato lavorativi, dando continuità, per il secondo fine settimana consecutivo, al blocco della produzione nello stabilimento di Termoli. Ad organizzarlo sono gli Operai Autorganizzati Molise e la Rsa Usb di Termoli. Il comunicato si richiama all'articolo 46 della costituzione: “l'uomo ha diritto a socialità e dignità dentro e fuori il posto di lavoro. Egli lavora per garantire ciò a se stesso ed ai propri cari”. Ribadisce che non devono essere i lavoratori a pagare per le perdite produttive causate dalla mancanza di investimenti sui macchinari e dalla mancanza di personale. Le salite produttive, ammesso che di queste si tratti, vanno gestite con nuove assunzioni, in modo da redistribuire la ricchezza prodotta dallo stabilimento sul territorio. Mentre la Fca fa lavorare il sabato e la domenica sempre le stesse persone. Aumentando così i carichi di lavoro senza che aumentino i posti di lavoro. Si deve creare occupazione e non saturare prima i mercati per poi finire in cassaintegrazione.

Noi, oltre che appoggiare entrambe le giornate, ci auguriamo che in futuro si troveranno momenti ancora più condivisi per riunire i lavoratori e le lavoratrici degli stabilimenti in un'unica lotta, oggi più necessaria che mai. Non dimentichiamo neppure gli scioperi negli stabilimenti della Fca che in questo momento o nel recente passato hanno coinvolto i lavoratori di altri paesi, dalla Serbia agli Stati Uniti.

Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, nel 2011 disse: “La lotta di classe esiste e l'abbiamo vinta noi”. Strappiamogli queste parole di bocca.

 

Marchionne   FCA  

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