Stato di agitazione tra le postazioni del cantact center GSE: E' ora che la dignità e i diritti non siano più in vendita.

[ROMA] Per raccontare gli ultimi sviluppi della vicenda delle lavoratrici e dei lavoratori Gse partiamo da una scena avvenuta durante uno dei tanti sit-in davanti al ministero dello sviluppo economico: da una parte una operatrice del call center che chiedeva di non subire sulla propria pelle l'ennesimo passaggio di società, dall'altra, il responsabile della gestione vertenze delle imprese in crisi presso il mi.s.e Gianpietro Castano, classe 44.

La lavoratrice gli ricordava che la questione delle esternalizzazioni tramite appalto, viene fatta solo ed esclusivamente per risparmiare sul costo del loro lavoro, sui loro soldi, salari da fame che possono scendere per arrivare anche a 400 euro. Per tutta risposta il pluri-titolato funzionario rispondeva: "embé? 400€ al mese non è uno stipendio?” e poi: “d'altronde se non siete laureate cosa pretendete?” e la lavoratrice: “ Veramente qui siamo tutte laureate. Ma forse per lei avremmo dovuto fare solo qualche partita di calcetto in più! ” (come consigliato da Poletti qualche mese fa!).

Ecco, dovremmo imparare a considerare queste meschinità come dei veri e propri atti di aggressione. Sarebbe bello, così, poter leggere sui giornali accanto a fatti di violenza con cui si costruiscono piccole e nauseabonde fortune elettorali, aggressioni come queste con cui invece si perpetuano grandi poteri economici e politici e si provoca un vero e proprio impoverimento di massa. Occorre tenere ben presente l'opera di macelleria sociale di vaste proporzioni che il governo sta portando avanti e su cui nessuna forza di opposizione ha deciso di confrontarsi ed investirci politicamente, così come, tranne qualche rara eccezione, nemmeno giornali e telegiornali hanno messo a disposizione intelligenze, mani e volti per raccontare come, il sistema degli appalti al ribasso, sia riuscito a buttare per strada 1666 lavoratrici e lavoratori del call center Almaviva Contact e, nonostante ciò, riassegnare allo stesso imprenditore, fruitore di laute commesse statali, il nuovo appalto della GSE. I lavoratori vengono passati nel “colino” del subappalto che trattiene i costi del lavoro e rimpolpa il profitto di pochi.
Questi pochi sono Alberto Tripi, amministratore delegato di Almaviva, facile fare impresa con i nostri soldi. Francesco Sperandini che accumula cariche su cariche sommando a quella di amministratore delegato della GSE, quella di presidente nonché di dirigente. Un, nessuno e centomila, che ha la facoltà di moltiplicare i soldi per se stesso, giochi da prestigiatore che hanno richiamato l'attenzione della stessa autorità nazionale per l'anticorruzione (a.n.a.c).

Ma parte delle responsabilità le assegniamo anche ad un sindacato che abbassando l'asticella dei diritti vuole far passare come vittoria la riconferma, previo licenziamento e riassunzione, dei lavoratori nella nuova gara. Mentre i lavoratori sanno benissimo che un secondo dopo l'avvenuto passaggio saranno preda di una società che non fa mistero delle proprie tecniche di dissuasione dei lavoratori tramite sotto inquadramenti e trasferimenti forzati.
Il 24 novembre è la data ultima dopo la quale i lavoratori si ritroveranno licenziati perché la vecchia azienda è fallita. Fallita come le precedenti, quattro in cinque anni, perché, come le altre, sorta solo per vincere gare al ribasso. Nel mondo che vorremmo invece, sogniamo che per gli operatori e le operatrici GSE il 25 scattasse l’assunzione da parte del ministero dell’economia, vero titolare per il quale questi operatori lavorano ormai da anni.

Il risentimento, la rabbia e la stizza di chi lavora, di chi è precario, di chi un lavoro lo cerca è ben riassunto nelle parole di una lavoratrice GSE: “Il mantenimento del posto di lavoro è importante, è fondamentale, ma non è tutto e non va perseguito a tutti i costi. E' ora che la dignità e i diritti non siano più in vendita. E' ora che la dignità vinca sulla paura di perdere il posto di lavoro. Ci hanno fatto credere che questa precarietà in cui viviamo sia normale ed inevitabile, ma non è così. Il lavoro deve rendere orgogliosi e non mortificarci. Auspichiamo che tutti abbiano il coraggio di ribellarsi. Le classi dirigenti sono più forti ed hanno più potere di noi. Ma noi siamo più numerosi, siamo il vero motore di questo paese. Se tutti cominceremo davvero a ribellarci potremo davvero cambiare le cose. Abbiamo il dovere di rendere questo paese un paese migliore.”

Il controllo popolare dei lavoratori sulle gare e sulle commesse avrebbe garantito già da tempo l'internalizzazione dei servizi combattendo, questa volta senza finta retorica e mezzi termini, corruzione e illegalità.

 

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