[Torino] Le lotte dei corrieri vanno avanti tra la sentenza Foodora e gli scioperi in Deliveroo

sciopero deliveroo

Mercoledì 11 aprile il Tribunale di Torino ha respinto il ricorso di sei rider Foodora contro i licenziamenti seguiti alle proteste di fine 2016.

I lavoratori del colosso del cibo a domicilio volevano vedersi riconosciuto lo status di lavoratore dipendente, come già diverse sentenze hanno sancito per lo stesso settore in Gran Bretagna. La mobilitazione dei corrieri di Foodora inizia ad ottobre 2016, quando un gruppo di loro si ribella ad un'ondata di nuove assunzioni con paga a cottimo: ogni consegna viene pagata 2.70 €, senza stipendio fisso, cioè senza retribuzione per i tempi di attesa. Peccato che durante quegli stessi tempi morti i corrieri siano comunque costretti a rimanere in strada a disposizione dell’azienda, fornendo tra l'altro un valore visto che le loro divise fucsia costituiscono un ottimo veicolo di pubblicità gratuita. Per giunta questo sistema permette a Foodora di non doversi preoccupare di dimensionare la forza lavoro ma di poter attivare centinaia di rider, tenerli a disposizione e chiamarli solo quando realmente servono, lasciandoli per tutto il resto del tempo in attesa di potersi guadagnare (forse) qualche briciola. Dopo il primo interlocutorio incontro coi lavoratori, i manager italiani di Foodora scompaiono e si limitano a rilasciare dichiarazioni secondo cui le rivendicazioni dei lavoratori sarebbero irricevibili perché quello che all’azienda frutta centinaia di milioni di utili sarebbe meno che un lavoretto, “un hobby per chi ama andare in bici in città”. Passano poche settimane e il contrattacco diventa reale: due promoter, accusate di aver partecipato ad una riunione dei rider in sciopero, vengono licenziate, mentre i corrieri che si lamentano delle condizioni di lavoro vengono disconnessi dall’app (comoda e rapida procedura di licenziamento 4.0).

L’abbattimento della parte fissa della retribuzione in favore di quella variabile è ormai una tendenza consolidata anche in settori più tradizionali, come ci confermano tutti gli ultimi rinnovi dei ccnl. In questa maniera non solo le aziende scaricano il rischio sui lavoratori, ma riescono anche a stimolare la competizione interna perché chi è più veloce e disponibile sale nel ranking, si vede assegnati più ordini e di conseguenza guadagna (un po’) di più. Ma cosa si cela dietro questo fantomatico “ranking”? Cosa vuol dire essere più veloce quando si deve guidare la bicicletta con un carico, in mezzo al traffico e magari sotto la pioggia (gli ordini di consegna a domicilio nelle giornate di cattivo tempo aumentano drasticamente)? Cosa vuol dire essere più disponibili e flessibili? Vuol dire accettare di essere pagati a cottimo, vuol dire accettare di doversi procurare da soli i mezzi di lavoro senza fiatare (la bici non è fornita dall’azienda e per la divisa bisogna lasciare una cauzione), vuol dire accettare turni più scomodi o lunghi ed essere sempre a costante disposizione dei capetti.

Non a caso a fine 2016, quando scadono i vecchi contratti con paga oraria, i corrieri che avevano scioperato non vengono rinnovati e decidono così di fare causa fino all’epilogo, momentaneo, della sentenza di primo grado. Il tribunale torinese ha infatti stabilito che i corrieri non siano assimilabili a lavoratori subordinati, nonostante abbiano divisa, turni assegnati e siano sotto la direzione ed il costante controllo dei manager dell’azienda. I corrieri e i loro avvocati hanno già annunciato ricorso, ma intanto la lotta va avanti anche in altre aziende. Alcuni dei licenziati sono passati ad un concorrente, Deliveroo, e si sono subito organizzati insieme a tutti gli altri colleghi. Anche qui a inizio 2018 l’azienda ha effettuato un’ondata di assunzioni di “cottimisti” praticamente raddoppiando la flotta e instaurando un nuovo sistema di gestione dei turni che permette la cancellazione autonoma del turno da parte dei corrieri. Il risultato di questo nuovo sistema di organizzazione del lavoro è che si sono formate due categorie di rider: quelli “bravi” e disponibili che hanno molte ore assegnate e finiscono per lavorare quasi come un normale lavoratore a tempo pieno, ma senza alcuna tutela e diritto, e quelli “tappabuchi” che invece devono stare sempre a disposizione e connessi all’app nella spasmodica attesa che qualche collega liberi un turno per poter lavorare un paio d’ore nella settimana. I corrieri di Deliveroo Torino hanno così avviato una mobilitazione contro il pagamento a cottimo, per l’annullamento di questo nuovo sistema di organizzazione del lavoro che divide ulteriormente i lavoratori e per ottenere un’assicurazione che copra anche i periodi di malattia a seguito di incidenti sul lavoro: negli scorsi mesi, infatti, un corriere, in seguito ad un incidente sul lavoro, è rimasto senza lavoro e stipendio per diversi mesi. Tra marzo e aprile i rider torinesi di Deliveroo, sostenuti anche dalla Camera del Lavoro Precario, hanno dato vita ad uno sciopero selvaggio: si sono dichiarati disponibili per il proprio turno in modo da sapere dove ci fosse una richiesta di ritiro, ma poi, invece di rispondere alla chiamata, si sono recati al ristorante per parlare con il corriere che che Foodora, poco dopo, avrebbe mandato al posto loro ad eseguire la consegna. Un meccanismo di sciopero semplice ed efficace che gli ha permesso di mandare in tilt il servizio che Deliveroo è stata costretta a sospendere per una serata e di entrare in contatto con tanti colleghi superando uno dei principali problemi dell’organizzazione delle lotte in questo settore: la dispersione, l’assenza di un luogo fisico di ritrovo.

Ovviamente anche questo strumento di lotta non può durare a lungo perché saltare la consegna significa calare nel ranking e quindi vedersi assegnati sempre meno ordini. I corrieri di Deliveroo hanno così deciso di andare negli uffici del manager a Milano per chiedere conto della loro condizione. Qui l’azienda non solo ha negato l’incontro, ma ha addirittura chiamato la polizia per far caricare e cacciare i lavoratori.

Proprio a causa delle enormi difficoltà a portare avanti la lotta in situazioni di lavoro così deregolamentate e dispersive, occorre a maggior ragione costruire relazioni e solidarietà tra tutti i corrieri di diverse città e aziende. Per questo domenica 15 aprile a Bologna si è tenuto un importante incontro tra i riders di diverse città italiane ed europee: Milano, Torino, Roma e Firenze, ma anche Bruxelles e Parigi. Si è discusso della condizione di lavoro, delle sentenze che ci sono state in diversi paesi, dei metodi di lotta che ognuno ha messo all’opera, della costruzione di una piattaforma rivendicativa unica. In questo senso molto interessante la proposta di scrivere una carta dei diritti che bandisca l’arcaico sistema della paga a cottimo, riconosca i diritti dei lavoratori al di là dello status giuridico di lavoratore dipendente, garantisca una copertura assicurativa anche nei periodi di infortunio, tuteli la privacy di lavoratori che vengono costantemente monitorati tramite le app, istituisca indennità per i turni di lavoro in condizioni meteo gravose, obblighi le aziende a partecipare alle spese di manutenzione dei mezzi di lavoro (la bici in primis).

Insomma tanti punti, tante rivendicazioni che è sempre più urgente portare avanti. Stiamo parlando di un settore, quello del cibo a domicilio, dove operano colossi europei come Just Eat, Deliveroo, Foodora e che non è ammissibile possano trattare un lavoro che genera centinaia di milioni di utili alla stregua di un “lavoretto” o di un hobby.  Anzi, la capacità e la tenacia organizzativa dei riders dimostra tutta l'ipocrisia padronale che si nasconde dietro il  vezzeggiativo ''lavoretto'': un tentativo di declassare il lavoro prestato in attività di serie B. Questi ''ragazz*'', che sempre più spesso sono anche uomini di 50 anni!, dimostrano invece con la lotta di percepirsi esattamente per quello che sono: lavoratori!
Lasciarli  in questa zona grigia di assenza di tutele e diritti non è più accettabile. Il lavoro va pagato e tutelato sempre!

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