Electrolux: se l’Italia non ride, la Svizzera piange!

Non capita spesso di sentire problematiche arrivare dall’oltralpe elvetica, eppure questa volta è proprio così.
Il caso arriva dal Canton Glarona, nella cittadina di Schwanden dove Electrolux possiede uno stabilimento che intende chiudere entro la fine del 2015.

In un comunicato la multinazionale giustifica la scelta a seguito dell’inasprimento della concorrenza e ad un calo delle esportazioni dovuto ad una moneta (il franco svizzero) troppo forte. Inoltre, per tenere il marchio “Swiss Made” la legislazione obbligherebbe Electrolux a generare una consistente quota dei costi di produzione in Svizzera (il 60%).

Ma l’ironia della sorte vuole che l’annuncio venga dato proprio nel giorno in cui i profitti della multinazionale fanno registrare un + 42% a livello globale.  Il gruppo insomma sta bene, oltre le migliori ipotesi degli analisti di mercato. E allora perché questa decisione?
Forse a Marcus Wallenberg, ex chairman del gruppo, non è andato giù il referendum tenutosi alcuni mesi fa nel quale gli Svizzeri si espressero contrariamente alla (folle) spesa di 2,5 miliardi di euro per l'acquisto di caccia militari svedesi Gripen. Sarebbero stati costruiti dalla divisione aerospaziale di Saab, che fa a capo alla finanziaria Investor AB e alla banca di famiglia SEB. Ma più probabilmente nella gestione globale di Electolux e dei sui azionisti e manager, quello che conta è rispettare i profitti attesi (possibilmente sempre di più) e rafforzare la credibilità del gruppo sui mercati finanziari per far crescere il valore delle azioni e avere liquidità a costi più bassi.  Poco importa se a rimetterci in tutto questo siano 120 lavoratori, molti dei quali marito e moglie, che si troveranno senza più di che vivere.

Sta di fatto che la multinazionale non è nuova a contraddizioni simili. Infatti, in un accordo conclusosi a settembre, Electrolux ha comprato per 3,3 miliardi di dollari l’unità elettrodomestici di General Electric suscitando tra gli altri la reazione di  Augustin Breda, delegato ed esponente della Fiom nazionale, che vede la disponibilità in contanti del Gruppo come una conferma indiretta di grande disponibilità di liquidità; un dato che sarebbe quindi in contrasto con le grandi difficoltà affrontate, nei mesi scorsi, per concludere una trattativa mirata a far rimanere gli stabilimenti di Electrolux in Italia. Dopo la firma dell’accordo nello stabilimento di Susegana infatti si è ripartiti a lavorare con contratto di solidarietà (ovvero turni da 6 ore con le restanti 2 pagate dalla collettività), salvo rientrare a pieno regime per sole 4 settimane, per far fronte ad un’ingente commessa di 7000 pezzi.

A Forlì invece è finita la cassa integrazione (altrimenti l’azienda non poteva accedere alla mobilità volontaria) e anche lì si adesso si è passati al contratto di solidarietà. In tutto questo va sottolineato come l’azienda abbia imposto un aumento dei ritmi agli operai in catena di montaggio per aumentare i pezzi/ora senza però fornire ai lavoratori gli strumenti necessari per far fronte a queste richieste.

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