[Pomigliano - NA] La Fiat ordina, la magistratura esegue: LICENZIAMENTI POLITICI, LICENZIAMENTI DI STATO

Ripubblichiamo il comunicato del SiCobas che rilancia la lotta dopo la conferma dei 5 licenziamenti politici contro gli operai della Fiat Pomigliano che inscenarono il suicidio di Marchionne davanti alla fabbrica per protestare contro le condizioni di lavoro che avevano appena portato all'ennesimo suicidio (questo purtroppo reale!) di un'operaia della Fiat.

 

Poche ore fa abbiamo appreso che il giudice del lavoro del Tribunale di Nola ha bocciato il ricorso dei cinque operai del Comitato di lotta di Pomigliano licenziati dalla Fiat nel giugno 2014.

La mobilitazione in grande stile da parte di Marchionne e dei suoi complici ha per ora portato all’esito voluto dai padroni. Il clima da caccia alle streghe a cui abbiamo assistito due settimane fa nel corso dell’udienza non lasciava presagire nulla di buono: la Fiat ha sguinzagliato il gotha dell’ufficio legale al gran completo, ha imposto la blindatura del Tribunale trasformandolo in una sorta di aula-bunker come se si trattasse di un maxiprocesso per mafia, ha messo in atto ogni sorta di pressione per impedire il rientro in fabbrica di Mimmo, Marco, Antonio, Massimo e Roberto, arrivando al punto di evocare lo spettro del terrorismo per indirizzare la sentenza a proprio favore.

Una condotta processuale così spregiudicata ed arrogante da parte della Fiat è forse senza precedenti nella pur lunga sfilza di episodi repressivi e rappresaglie antisindacali che ne hanno costellato la storia.

Evidentemente avevamo visto giusto quando affermavamo che la posta in gioco di questo processo era alta non solo per i cinque licenziati, ma anche e soprattutto per la Fiat quale storico battistrada del grande capitale nostrano.

Per Marchionne tenere fuori dalla fabbrica il Comitato di Lotta è diventato l’imperativo categorico, non certo per le accuse al tempo stesso ridicole e infamanti mosse dall’azienda nei confronti dei licenziati, bensì perché la Fiat sa bene che il Comitato di lotta rappresenta una delle poche voci fuori dal coro che non si è mai piegata alle logiche schiavistiche e squadristiche imposte negli ultimi anni in tutti gli stabilimenti e che un ritorno in fabbrica dei suoi principali esponenti significherebbe l’automatica messa in discussione dello strapotere dei padroni e la delegittimazione delle forme brutali di sfruttamento imposte a migliaia di operai.

Da sempre i giudici e le aule dei Tribunali borghesi rappresentano per loro stessa natura uno dei terreni meno congeniali per far valere i diritti e le rivendicazioni operaie: ciononostante, abbiamo atteso l’esito di questo processo con fiducia e persino con una certa dose di ottimismo data la totale inconsistenza delle accuse mosse ai cinque licenziati e alla luce del clima di solidarietà che nel corso delle settimane è andato crescendo dentro e fuori le fabbriche anche in virtù della protesta eclatante condotta da Mimmo per ben sei giorni in cima alla gru di Piazza Municipio.

Ma la furia vendicativa dei padroni contro gli operai che osano disturbare i loro affari non ha limiti.  La Fiat ha trasformato l’udienza del 16 maggio in un vero e proprio processo politico il cui oggetto non era più l’illegittimità e l’arbitrarietà del licenziamento di 5 operai, bensì la legittimità o meno della lotta e del dissenso al Piano Marchionne e al Jobs Act.

Alla luce di ciò, era oggettivamente improbabile che i giudici non si lasciassero influenzare da un pressing padronale di tale portata e fossero capaci di deliberare in maniera imparziale.

Di fatto, il tribunale di Nola con la sentenza di rigetto del ricorso ha di fatto introdotto in Italia la pratica della censura: convalidare il licenziamento di cinque operai per il fatto che questi ultimi hanno inscenato la rappresentazione teatrale del “suicidio” di Marchionne a fronte dei suicidi reali di operai provocati dallo stesso Marchionne e tuttora impuniti, significa infatti legittimare la pratica della censura e introdurre un pericoloso precedente teso a limitare fortemente la libertà di espressione.

In realtà la storia ha sempre insegnato che nel regno del capitale i proletari non hanno alcun “diritto” universalmente riconosciuto, se non quello di essere sfruttati, spremuti come limoni e poi buttati via dal padrone come e quando fa più comodo a questi ultimi. I cosiddetti “diritti”, persino quelli più elementari incluso quello della libertà di esprimere le proprie opinioni, sono al contrario stati sempre il frutto di lotte dure, talvolta persino sanguinose, al termine delle quali il proletariato ha imposto con la forza le proprie rivendicazioni ai padroni e al loro Stato con relativo codazzo di giudici, governi, prefetti, poliziotti e burocrati di ogni risma. Nel regno del capitale ogni conquista e ogni tutela strappata dalla classe lavoratrice è sempre momentanea e parziale, poiché i padroni sono perennemente alla ricerca del primo momento utile di debolezza e divisione nel fronte proletario per riprendersi con gli interessi ciò che sono stati costretti a cedere a malincuore.

Ciò a cui assistiamo da anni, con lo stillicidio di posti di lavoro, le pesanti ristrutturazioni aziendali, la disoccupazione e la miseria dilagante, l’ondata di licenziamenti politici e disciplinari, la miriade di controriforme reazionarie tese a smantellare ogni garanzia e tutela dentro e fuori dai luoghi di lavoro e culminate nel Jobs Act di Renzi che sancisce la legittimità dei licenziamenti indiscriminati, sono la conferma di come in assenza di una controffensiva di classe che assuma come discriminante la piena autonomia dai padroni e dai suoi organi di controllo politico-sindacali, ogni diritto è destinato a soccombere sull’altare dei profitti.

Le lotte di questi anni nella logistica, in ultimo la battaglia campale condotta dai facchini del SI Cobas all’SDA di Bologna contro un piano di centinaia di licenziamenti, dimostrano che con la compattezza e l’unità della classe lavoratrice è possibile vincere anche contro i padroni più reazionari.

I licenziati politici di Pomigliano sanno che non sono soli: la solidarietà e il sostegno militante che si è sviluppato in questi mesi e ancor più nelle ultime settimane arriverà presto fin dentro la fabbrica. Lo sfruttamento, i ritmi schiavistici e l’annullamento delle tutele sindacali non possono durare in eterno e presto la mobilitazione e il protagonismo operaio torneranno a farsi sentire anche in Fiat, con buona pace di Marchionne e dei suoi servi sciocchi di FIM-UILM-FISMIC-UGL.

La mobilitazione per il reintegro dei licenziati continua, dentro e fuori le fabbriche, dentro e fuori le aule di tribunale.
Diamo forza alla cassa di resistenza nazionale a sostegno dei licenziati politici.
Solo la lotta paga- Uniti si vince

DOMENICA 7 GIUGNO, ORE 16.00
ASSEMBLEA PUBBLICA CITTADINA
PRESSO L’ASILO, VICO G. MAFFEI, 4- NAPOLI

04/06/2015
SI COBAS NAPOLI E CASERTA
SI COBAS NAZIONALE

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